La prima caduta nella busta degli statali
Quando si parla di compensi statali si affronta un capitolo consistente della spesa pubblica: 170 miliardi, pari a poco meno dell’11% del Pil. Per cui anche una riduzione dell’1,6%, come quella registrata per la prima volta nel 2011, significa esibire una spending review di svariati milioni. E le stime disponibili per il 2012 confermano un ulteriore ribasso (all’incirca dell’1%) con uscite complessive ferme a 165,36 miliardi. Un dato che arriva dopo anni e anni, soprattutto il decennio 80 – 90, in cui le retribuzioni degli statali si sono moltiplicate di 4-5 volte, salendo anche più dell’inflazione. In soldoni, un dipendente pubblico percepiva in media circa 34 mila e 500 euro all’anno lordi nel 2011 (28.800 di base per contratto e i restanti 7.000 accessori), cifra che è scesa a 34.137 l’anno dopo, con un calo effettivo delle retribuzioni medie dello 0,8%.
Ma come si è arrivati all’inversione di tendenza? Non solo con il blocco delle retribuzioni, ma anche «grazie alle misure di contenimento varate negli ultimi anni, in particolare il blocco dei contratti e i vincoli al turnover che stabiliscono che non si può assumere più del 20% del personale uscito e della spesa per questo personale», spiega il presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini. Tant’è vero che il numero di occupati nelle amministrazioni pubbliche è passato da circa 3,6 milioni (nel 2007) a meno di 3,4 milioni nel 2012, con un calo di poco più del 6%. In particolare, ci sono «265 mila posti di lavoro in meno negli ospedali, nelle scuole materne e in generale nel sistema dei servizi ai cittadini», contestano i sindacati Fp-Cgil, Fp-Cisl, Uil-Fpl e Uil-Pa, per i quali la reale erosione del potere d’acquisto degli statali è «ben più gravosa, al 7,2%».
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