La sindrome della bolla e il lavoro che non c’è

by Sergio Segio | 12 Aprile 2013 6:33

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Intanto l’indice di fiducia delle imprese elleniche è tornato ai massimi dall’autunno del 2009, prima che l’annuncio sulle frodi del bilancio segnasse l’avvio della crisi ancora aperta. E Third Point, il celebre hedge fund newyorkese di Daniel Loeb, ha creato un veicolo per investire in imprese greche, in concorrenza con altri grandi fondi americani attivi a Atene come Oaktree Capital e Fortress Investment.
La Grecia non è alla fine della sua dolorosa trasformazione, ma l’economia sta iniziando a reagire. Non è la sola. L’Irlanda ormai non è solo stabilizzata, ma solida. E in Spagna il Consejo Empresarial para la Competitividad, il club che riunisce i primi 15 gruppi del Paese, ha deciso di non aspettare il governo e agire: di recente ha lanciato un road show in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Asia, città  per città , per presentare agli investitori industriali e finanziari i punti di forza della Spagna dopo le riforme già  fatte.
Di fronte a questi esempi l’Italia sembra esistere in un universo parallelo. I rappresentanti delle imprese o dei sindacati preferiscono gridare all’allarme piuttosto che articolare programmi di riforme. Il Paese va avanti con un governo dimissionario da 125 giorni e intanto l’economia continua a distruggere posti al ritmo di quasi 100 mila al mese.
È la doppia velocità  di questa primavera della paralisi italiana. I segnali del mondo di fuori, dai viali di capannoni chiusi, agli affollati banchi di abiti usati a un euro l’uno nei mercati di Milano, dicono che il tempo è scaduto. Gli indicatori finanziari sembrano invece raccontare una verità  diversa: anche ieri gli indici di Borsa di Milano sono saliti e il costo di finanziamento del debito è sceso, con lo spread fra Bund e Btp a dieci anni sceso sotto i 300 punti per la prima volta da quasi due mesi.
Gli investitori non stanno reagendo ai programmi economici dei partiti, se non altro perché questi non ne parlano mai. Piuttosto stanno prendendo atto di forze più vaste: un rapporto di Bofa-Merrill Lynch di ieri calcola che entro fine del 2014 la Federal Reserve, la Banca centrale europea e la Bank of Japan avranno comprato sul mercato titoli per un valore fra il 30% e il 60% del loro prodotto interno lordo; che le banche centrali del pianeta hanno varato 500 tagli dei tassi negli ultimi sei anni; e che di conseguenza esistono al mondo bond per quasi 20 mila miliardi di dollari il cui rendimento viaggia sotto l’1%.
L’enorme onda di liquidità  creata dalle banche centrali spinge gli investitori dall’Asia o dall’America fino in Italia a cercare rendimenti un po’ più alti. La Fed e la Banca del Giappone, con il loro attivismo, stanno stendendo un velo di morfina finanziaria sulla recessione italiana. È quando accadono eventi del genere che gli speculatori ridiventano irrazionali, seguono la corrente del gregge, e torna di moda criticarli per i loro eccessi. Ma anche i leader politici italiani, da Pierluigi Bersani a Silvio Berlusconi, sembrano toccati dalla stessa febbre. Per quanto possano deprecare e accusare gli speculatori, hanno contratto lo stesso morbo. I capitalisti cercano di arricchirsi senza rischio all’ombra delle banche centrali; i politici italiani, protetti anche loro dalla bolla della Fed o della Banca del Giappone, pensano di poter tessere i loro disegni.
Così Spagna, Irlanda e persino la Grecia guardano avanti; mentre i cosiddetti leader, in Italia, guardano agli speculatori ai quali amano dare la colpa di tutto: e li ricordano sempre di più.
Federico Fubini

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