La società  chiede democrazia Iraq, diritti annientati

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Hassan Juma è il leader del sindacato del petrolio iracheno. Per difendere i diritti dei lavoratori del settore, pubblico ma con ampie concessioni ai privati, ha indetto recentemente uno sciopero ed è stato rinviato a giudizio con il rischio di una condanna a 5 anni. Nel cambio di regime in Iraq sono rimaste in vigore le leggi di Saddam che vietavano il diritto di sciopero e le libertà  sindacali. Una scelta strumentale e utile al controllo del settore petrolifero.
Oday è un coraggioso giornalista che rischia ogni giorno la vita sua e dei suoi familiari per denunciare la corruzione dilagante e gli omicidi mirati di giornalisti. Dal 2003 più di 300 giornalisti e media attivisti sono stati uccisi. Del milione e più di cristiani iracheni si stima ne siano rimasti circa 300.000, per lo più sfollati nel nord del paese sotto la protezione del governo regionale Kurdo. Tre attivisti dell’organizzazione irachena, laica e di sinistra, Tammuz sono stati freddati a Falluja la settimana scorsa. Erano tra gli organizzatori di molte delle recenti manifestazioni – pacifiche – per la giustizia sociale.
A dieci anni dalla guerra stupisce che un paese ricco e liberato a suon di bombe e di miliardi della comunità  internazionale, sia ancora così fortemente deficitario nel campo delle libertà  e dei diritti. I diritti umani erano una delle bandiere della guerra. Oggi sono molto precari. Nessuno in Iraq rimpiange Saddam ma l’agibilità  delle forze politiche e sociali è molto limitata quando non a rischio. E mancano elettricità , acqua potabile, una sanità  minima. Nonostante dal petrolio arrivino miliardi di dollari ogni anno, che si perdono in sistemi clientelari e con il paese classificato agli ultimi posti degli indici sulla corruzione internazionale. La sola Unione Europea, quindi anche gli italiani, ha speso un miliardo di euro nella ricostruzione, difficile misurarne l’impatto e i risultati. È certo che l’Iraq è stato uno dei più grandi esperimenti di nation-building liberista compiuti negli ultimi anni e se molti iracheni ancora sperano e protestano è perché c’è una società  civile forte e attiva che non si è mai arresa, come le molte minoranze linguistiche e religiose che resistono.
Una storia quella irachena che va analizzata perché aiuta a comprendere le trasformazioni tuttora in corso nel mondo arabo. Come va raccontato il coraggio dei molti attivisti, come Hassan e Oday, che ogni giorno a mani nude difendono i loro spazi di libertà . L’iniziativa www.iraqicivilesociety.org rilancia le principali campagne della società  civile irachena e ha raccolto nelle ultime settimane le adesioni dei principali sindacati mondiali a sostegno del sindacalista iracheno. L’11 e il 12 aprile, a Roma, parleremo di questi temi con documentari all’Apollo 11 e dibattiti a La Sapienza sulla guerra per la democrazia, sulla ricostruzione incerta e soprattutto sulle false promesse fatte agli iracheni.
*www.unponteper.it


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