LE FERITE D’AMERICA CHE INCRINANO LA NOSTRA SICUREZZA
L’intenzione di Al Qaeda di colpire il suolo americano c’è ancora — come dimostrano le lettere dell’ormai defunto Osama Bin Laden ritrovate nel maggio 2011 dalle forze speciali degli Stati Uniti ad Abbottabad, in Pakistan — anche se le sue capacità di farlo sono state drasticamente ridotte dai bombardamenti attuati con i droni e da altre misure antiterrorismo prese nel corso degli anni. L’attentato di Boston è stato un’azione coordinata con una serie di bombe distinte, finalizzata a provocare vittime di massa: di conseguenza è caratterizzato da uno degli elementi cruciali degli attentati “classici” di Al Qaeda, per così dire, come quelli di Madrid nel 2004 e di Londra nel 2005. Tuttavia Ayman Al Zawahiri — il militante egiziano subentrato a Bin Laden nella guida dell’organizzazione — ha modificato la strategia del gruppo per concentrarla maggiormente sullo sfruttamento delle occasioni che si presentano nel caos lasciato dalla Primavera araba, più che cimentarsi in attentati spettacolari negli Stati Uniti.
Ci sono ovviamente tutte le organizzazioni affiliate ad Al Qaeda, molte delle quali hanno giurato di colpire gli Usa nel loro territorio per rappresaglia contro quelle che considerano ingiustizie commesse da Washington a danno della ummah, la nazione islamica. Nondimeno, poche di queste organizzazioni hanno l’effettiva capacità di colpire negli Usa. Due di quelle che hanno dimostrato di averne sono Al Qaeda nella Penisola araba — che nel 2009 mandò
un musulmano nigeriano negli Stati Uniti facendolo transitare dall’Europa, e per poco non riuscì a far precipitare un aereo di linea sopra Detroit — e i Taliban pachistani, che nel 2010 hanno tentato di far esplodere un ordigno in Times Square, a New York. Questo secondo gruppo, che non ha collegamenti con l’organizzazione di Al Qaeda fuorché qualche legame informale, in un certo senso e alquanto stranamente ha rilasciato una smentita di responsabilità non sollecitata. Il primo gruppo è noto per l’accuratezza dei suoi ordigni, mentre le bombe esplose a Boston appaiono rudimentali nella fattura e nella tecnologia.
Che si tratti invece di terroristi nati e cresciuti negli Stati Uniti, come starebbe emergendo dalle indagini nelle ultime ore? Forse di qualche estremista americano di destra?
Gli Usa hanno una folta e fiorente comunità di estremisti di destra, nonché un passato di attentati di questo tipo. Nel 1995 Timothy McVeigh uccise 168 persone facendo esplodere un’autobomba davanti agli uffici governativi di Oklahoma City. Negli ultimi anni inoltre abbiamo assistito a un’escalation degli episodi violenti imputabili all’estrema destra negli Stati Uniti. Tra le decine di complotti sventati ci sono piani per entrare in possesso di armi chimiche e biologiche, e tentativi di colpire cortei e parate. Secondo una ricerca effettuata dalla New America Foundation, un think tank con sede a Washington, tra il settembre 2001 e il settembre 2011 negli Stati Uniti ci sono stati dieci attentati letali perpetrati da “estremisti non jihadisti” contro gli appena quattro perpetrati da “jihadisti”.
Certo, la natura del bersaglio lascerebbe intendere in questo caso che il colpevole è di destra. Gli attentati terroristici sono propaganda attuata con azioni finalizzate a convogliare un messaggio per mezzo della violenza. I militanti islamisti prendono di mira bersagli che abbiano una certa risonanza nel mondo musulmano. L’opinione pubblica più importante sulla quale intendono far colpo, nel tentativo di radicalizzarla e mobilitarla è formata da miliardi di musulmani, e non dall’Occidente. La Maratona di Boston, per quanto molto famosa tra tutti gli americani, gode di scarsa notorietà altrove.
Anche se in genere gli estremisti di destra prendono di mira bersagli che rappresentano direttamente il governo, questo attentato è stato perpetrato nel “Patriots’ Day”, il giorno dei patrioti americani nel quale si commemorano le prime battaglie della Rivoluzione americana in una città che dal punto di vista storico è celebre per la sua resistenza a una potenza arbitraria e tirannica, la Gran Bretagna. Le esplosioni oltretutto si sono verificate nel giorno in cui gli americani devono presentare la dichiarazione dei redditi, operazione quanto mai impopolare tanto negli Usa quanto in Italia.
Niente di quanto detto finora è definitivo. All’indomani di un qualsiasi attentato terroristico è umano voler conoscere ciò che non si conosce: chi è il responsabile. E questo lo si chiarirà col tempo. In attesa che ciò accada, tuttavia, più che alla minaccia, si dovrebbe pensare alla risposta.
Se si dovesse scoprire che i colpevoli sono militanti americani di destra, allora l’attentato potrebbe dare il via negli Usa a un periodo di analisi interna e a un dibattito che, a rischio di polarizzare ancor più una nazione profondamente divisa, potrebbe
anche stimolare una vera riflessione sulle conseguenze della polarizzazione già esistente. Gli estremisti non potrebbero esistere se non credessero che almeno alcuni elementi della comunità alla quale appartengono condividono e approvano le loro azioni. Ecco spiegato il motivo per il quale, ogni volta che si fa viva la violenza del terrorismo, sono quanto mai importanti le voci dei moderati e di chi usa la ragione, di coloro che sono in grado di contrastare l’irresponsabile escalation retorica di politici populisti privi di scrupoli.
Se l’attentato sarà riconducibile a cittadini statunitensi convertiti e reclutati dalla violenza estremista, allora si innescherà un’altra serie di risposte e il rischio sarà quello di una reazione violenta contro la minoranza musulmana del paese che non farebbe altro che esacerbare il problema.
Se invece ad aver perpetrato l’attentato fosse effettivamente un’organizzazione militante islamista di oltreoceano, le pressioni sulla Casa Bianca per intervenire in modo aggressivo sarebbero forti. Anche se si può ragionevolmente confidare nel fatto che la reazione del presidente Obama sarà più misurata di come sarebbe stata quella del suo predecessore, l’ultima cosa di cui hanno bisogno adesso il Medio Oriente o la regione afgano-pachistana è un massiccio intervento statunitense ispirato e motivato da obblighi di politica interna americana.
A prescindere da chi sarà riconosciuto colpevole, le bombe di Boston ci rammentano che il terrorismo è tuttora una minaccia, un fenomeno quanto mai complesso. Più di ogni altra cosa, ci dicono anche che a distanza di undici anni e mezzo dagli attentati dell’11 settembre un’aggressione contro una città americana ha ancora implicazioni molto gravi per tutti noi.
(Traduzione di Anna Bissanti)
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