Le scorie dimenticate

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Sogin è una società  controllata dal Ministero dell’economia, alla quale è stata affidato il compito di dismettere le centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987 (Latina, Garigliano, Trino Vercellese e Caorso) e quattro centri di ricerca nucleare (Saluggia, Trisaia. Casaccia e Bosco Marengo) nonché di dare una soluzione al problema delle scorie nucleari ( 2.500 tonnellate) e dei rifiuti a media e bassa radioattività  (dai 50.000 ai 100.000 mc),che risulteranno dallo smantellamento degli impianti. L’ampio campo di variazione delle quantità  da smantellamento deriva dal fatto che, a tutt’oggi, non è stata effettuata una esaustiva caratterizzazione degli impianti Ebbene ad oggi tutti i problemi sono ancora aperti. Gli impianti sono ancora dove erano (tranne Bosco Marengo) e la ricerca e la costruzione dei depositi delle scorie e dei rifiuti nucleari sono in alto mare.
Dinanzi a questo evidente fallimento della sua azione Sogin cerca disperatamente di legittimarsi con la comunicazione. Non ci si deve stupire, quindi, che in un recente comunicato stampa Sogin abbia dichiarato come la sua attività  dovrebbe dare un’occupazione di 12.000 persone negli anni tra il 2014 e il 2026 (circa 900 persone mediamente all’anno). Non si capisce se questa previsione sia incrementativa rispetto al numero dei dipendenti attuali, che sono 500. Ciò che è chiaro è che Sogin non ha ancora capito che gli italiani (e soprattutto le comunità  locali nel cui territorio sono localizzati gli impianti) non si aspettano che l’attività  di dismissione e di messa in sicurezza delle scorie contribuisca a ridurre la disoccupazione. Ciò che si vorrebbe è che si risolvesse ( dopo 26 anni !) la grave emergenza ambientale, che continua a pesare sul nostro paese. Ha fatto molto bene a ricordarlo il Comitato «Si alle energie rinnovabili, No al nucleare» con una conferenza stampa, l’11 aprile. E non si è limitato ad una diagnosi, ma anzi ha presentato alcune proposte in merito al tema della gestione delle scorie e dei rifiuti nucleari. Per capire l’importanza di questa iniziativa bisogna fare un po’ di storia.
Nel 2001 si decise di affrontare il problema delle scorie e dei rifiuti nucleari affidando gli impianti a Sogin e facendo valere sulla tariffa elettrica i costi di dismissione degli impianti e del conseguente stoccaggio delle scorie e dei rifiuti prodotti. Il controllo della congruità  dei costi venne, di conseguenza, attribuito all’Autorità  per l’energia elettrica e il gas. Il programma di smantellamento prevedeva il rilascio «a prato verde» dei siti nel 2020, a fronte di un costo previsto di 4,5 miliardi di euro. Nei costi non erano contemplati gli oneri per la costruzione del così detto deposito geologico previsto per il combustibile esaurito, ossia per le barre di uranio presenti nelle centrali al momento della sospensione del programma nucleare nel 1987. Il termine « geologico» si riferisce al fatto che il decadimento della radioattività  di questo materiale è previsto in oltre 1.000 anni. Inoltre, non era stato individuato il deposito dove stoccare i rifiuti da smantellamento (300 anni di vita prevista !) con l’assurdità  di avviare un programma di dismissione senza sapere dove mettere le scorie nucleari e i rifiuti radioattivi. Non è facile avere una visione della situazione attuale, in quanto non esiste un unico documento che dia lo stato di avanzamento del programma e soprattutto la previsione delle attività , con i relativi costi e tempi, per arrivare ad una soluzione definitiva del problema delle scorie e dei rifiuti radioattivi. Sulla base delle informazioni reperibili da differenti fonti (Delibere Autorità , Relazione 2009 di Sogin alla Commissione Rifiuti, Piano Industriale Sogin del 2010, Comunicati stampa disponibili su sito Sogin), si può ricavare il seguente quadro d’insieme. La data di rilascio «a prato verde» è slittata dal 2020 al 2035 ( l’ultimo impianto sarebbe Latina). La previsione dei costi a finire è cresciuta da 4,5 a 6,7 miliardi di euro, di cui 1,8 già  consuntivati negli anni 2001-2011 e il restante a sostenere per concludere il programma. Mancano totalmente previsioni di costo in merito alla costruzione dei depositi. Non si è ancora data una soluzione definitiva al problema delle scorie nuclear
. Le 2.000 tonnellate di combustibile esaurito è stato inviato in Gran Bretagna e in Francia in impianti di lavorazione, che ne trarranno plutonio e rifiuti vetrificati ad alta radioattività . Si tratta di materiale che verrà  poi consegnato all’Italia, che dovrà  trovarne una destinazione definitiva. Per quanto riguarda i rifiuti da smantellamento si prevede di stoccarli provvisoriamente nei siti stessi. Si può dire in sintesi che il programma avviato nel 2001 è stato un fallimento, sotto il profilo dei costi, dei tempi e dei risultati in termini di trattamento delle scorie. Questo clamoroso insuccesso viene fatto pagare al contribuente italiano, ma soprattutto al territorio dove sono localizzati i siti e che si trovano ancora con gli impianti presenti e rischiano di trovarsi con uno stoccaggio dei rifiuti sul sito, con la eufemistica dicitura di «provvisorio». Ad oggi, infatti, si è in alto mare nell’individuazione di una località  dove collocare un unico deposito per i rifiuti da smantellamento, per cui è probabile, se non certo, che i depositi provvisori sui territori diventeranno definitivi. Quali sono le ragioni di questo fallimento? E’ dalla loro identificazione che hanno origine le proposte del Comitato, proposte presentate nella conferenza stampa dell’11 aprile. Manca, innanzitutto la trasparenza. Il Comitato ha presentato un esposto alle autorità  competenti perché venga fornito un quadro esauriente della situazione e del programma a lungo termine. Soprattutto deve essere chiarita la destinazione finale delle scorie nucleari, sia di quelle inviate all’estero ma che ritorneranno un giorno, che dei rifiuti che si prevede di lasciare in deposito sui siti. Esiste il rischio, o meglio la certezza, che invece di un deposito il nostro paese si trovi ad avere 7 depositi e tutto senza coinvolgere i territori interessati.
Non esiste di fatto un’autorità  tecnica di controllo. Lo smantellamento (questo celermente realizzato) delle competenze nucleari dell’Enea ha creato un «vuoto» nel presidio tecnico del problema. Va costituita rapidamente un’autorità  indipendente in grado di monitorare e verificare la gestione dei rifiuti nucleari. A questa autorità  va affidato con urgenza il compito di individuare il sito dove localizzare il deposito dei rifiuti da smantellamento e la soluzione, anche a livello europeo, del deposito del materiale nucleare proveniente dagli impianti francesi ed inglesi. Si deve ricordare che si tratterà  di plutonio e ciò comporterà  anche problemi di sicurezza militare. Si è di fronte ad un approccio privatistico. L’idea, a dir poco singolare, che una società  per azioni gestisca il tema nucleare con soldi pubblici (la tariffa elettrica) ha sommato il peggio del pubblico (inefficienze, una sede romana elefantiaca, carente presidio delle competenze nucleari) con il peggio del privato (ricerca di business limitrofi alla missione fondamentale, perseguimento dell’utile, problemi di assetto patrimoniale). Inoltre, ha generato una costante tensione tra l’Autorità  per l’energia elettrica ed il gas, che presidia i costi, il Ministero dello Sviluppo Economico, che dovrebbe dare gli indirizzi strategici, e il Ministero dell’Economia che vorrebbe ricavare un utile dal «business nucleare». In particolare, a fronte della latitanza del Ministero dello Sviluppo Economico il presidio del programma è venuto a ricadere sostanzialmente sull’Autorità , che deve autorizzare i preventivi e i consuntivi di Sogin. Ciò ha indebolito l’intero governo del problema, favorendo l’autonomia della Sogin, che ha perseguito proprie politiche. E’ necessario «fare il punto».
La gestione delle scorie nucleari e dei rifiuti è un bene comune e come tale va gestito da un soggetto talmente pubblico, la cui missione deve essere innanzitutto la salvaguardia della salute, dell’ambiente in genere, e il corretto rapporto con il territorio. In particolare, va prevista una revisione profonda dell’assetto di Sogin, non scartando anche l’idea di un suo «smantellamento», per poter ripartire da ” zero”. Sarebbe, almeno, un raro caso di applicazione della meritocrazia, così tanto sbandierata nel nostro paese. Ma è possibile che un Comitato di «cittadini volenterosi » faccia delle proposte mentre la grande Sogin pensa di accontentarci con un numero di 1.000 nuovi occupati ? Il problema delle scorie e dei rifiuti nucleari deve essere al centro di una discussione pubblica, in Parlamento e sul territorio interessato ai siti nucleari. Solo con più democrazia si risolve questa emergenza nucleare.


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