L’ILLUSIONE DI AVERE TEMPO

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Lo spread, la detestata spia del costo del debito, continua a sgonfiarsi fino a sotto i livelli di prima delle elezioni dall’esito più surreale nella storia repubblicana. La Borsa nel frattempo sta registrando segnali di ottimismo. Nell’ultimo anno, mentre il lavoro e le imprese vivevano la più grande devastazione registrata in tempo di pace, il principale listino di Milano è positivo: chi avesse investito un anno fa, oggi starebbe guadagnando un invidiabile 6,7%.
Anche i conti pubblici sembrano dare segni di tenuta, a leggere il Documento di economia e finanza presentato ieri dal governo. L’Italia spera di tenere il suo deficit sotto il 3% del Pil, la soglia oggetto di vent’anni di idolatria a Bruxelles che non ha impedito a certi Paesi a lungo in regola — Spagna, Irlanda — di sprofondare. Soprattutto, il saldo attivo dei conti prima di pagare gli interessi risulta fra i migliori d’Europa. In base a questo il Tesoro stima che il debito pubblico dovrebbe scendere dall’anno prossimo, benché simili annunci negli ultimi anni non abbiano mai portato bene.
Poi però si può svolgere anche il secondo racconto sull’Italia. I mercati sembrano sospinti dalla liquidità  sprigionata dalle grandi banche centrali, da Tokyo a Washington, più che da un calcolo razionale. Il deficit dovrà  fare i conti con la recessione e con tante voci poco discusse, dal finanziamento della cassa integrazione in deroga, alle missioni all’estero, a 150 mila statali precari e in scadenza. E il debito sta superando il 130% del Pil: ieri la Commissione europea ha confermato che l’Italia e le sue banche restano fragili, al punto da rappresentare un rischio di contagio per il resto d’Europa. E non è solo questione di tassi, di spread o della Germania che amiamo tanto descrivere come avara perché non si accolla i nostri debiti. Persino l’export, il meglio dell’economia, mostra segni di fatica. Sono questi gli indici di competitività  declinante che le agenzie di rating stanno guardando da vicino. Moody’s e Standard & Poor’s saranno discutibili, ma ora aspettano di vedere se il prossimo governo capisce e affronta l’incapacità  del Paese di crescere: se scettiche, potrebbero declassarci (molto presto) a un soffio dal livello «spazzatura».
L’idea che ci sia ancora tempo e qualcosa o qualcuno che alla fine ci salverà  forse aveva un senso nel ’92, quando Maastricht era il futuro. Vent’anni dopo la sola Maastricht che può salvarci è qui, in Italia, nella sua capacità  di cambiare le proprie istituzioni economiche per prosperare. Bersani e Berlusconi ne staranno urgentemente parlando. O no?


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