«Kalashnikov, passamontagna e tè»
3 aprile, catturati e interrogati
«Era il nostro primo giorno in Siria, volevamo tornare a dormire in Turchia. Nel primo pomeriggio, mentre stavamo iniziando a lavorare in un paesino, senza accorgercene abbiamo ripreso una base di Jabhat Al Nusra. Sembrava una palazzina come le altre, e gli uomini non erano vestiti come dei ninja. Sono arrivati in cinque o sei in un pickup e altri in un furgoncino, ci hanno preso i passaporti. Poi è arrivato il capo. Ha detto che eravamo delle spie. Ci ha portati dentro, ci ha divisi e ha parlato con ognuno di noi in una stanza. Lui era sempre incappucciato. Non era muscoloso ma si vedeva ch’era in forma. Parlava in inglese, un buon inglese. Gli ho detto: “Guarda che stai facendo un grosso errore. Cerca i nostri nomi su Internet, vedrai che ti sbagli”. È rimasto zitto, poi è uscito».
4-5 aprile, senza finestra
«Ci hanno bendati e col pickup ci hanno portati in una palazzina in costruzione. Noi tre uomini eravamo in una stanza con tappeti, cuscini, coperte, senza porta e con un foglio di compensato al posto della finestra. Ma la luce filtrava di giorno, e di sera arrivava da una candela accesa in corridoio. Susan era in una stanza vicina, sentivamo la voce, in inglese, non parla l’arabo. Le guardie si davano il turno, col kalashnikov al collo. Portavano tonno, hummus, cetrioli, pomodori da mangiare, l’acqua quando la chiedevamo e il tè quando lo facevano per sé. Chiaramente l’ordine era: trattateli bene. C’era un bagno nel corridoio, chiamavamo la guardia: “Shebab”. Aspettava fuori. Dopo due giorni è venuto il capo, era molto più pacato. Ha detto: «I’m sorry, abbiamo visto che siete giornalisti».
7-8 aprile, discorsi di religione
«Hanno portato noi tre in una base, Susan invece in una casa. Dalla nostra stanza passavano molti combattenti, anche a volto scoperto. Volevano parlare di religione, del cristianesimo, del Corano. Mi sono rimasti impressi, così giovani, ma comunque votati alla causa della liberazione della Siria, credenti e combattenti. Tutti islamici».
13 aprile, la liberazione
Il capo è arrivato e ha detto: «Ok vi mando via». Ci ha tenuto a dire che non avevano chiesto alcun riscatto: “Non siamo dei banditi”. Le telecamere, le macchine fotografiche, il satellitare li hanno tenuti».
(Testo raccolto da Viviana Mazza)
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