«Monte dei Paschi Tre anni di falsi per coprire il buco»

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ROMA — Hanno falsificato i bilanci per tre anni. Dal 2009 al 2011 i vertici del Monte dei Paschi di Siena hanno contraffatto le scritture contabili e le certificazioni finali per nascondere le spericolate operazioni finanziarie compiute nel tentativo di occultare la voragine nei conti che loro stessi avevano provocato. Le verifiche disposte dai pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso aggravano la posizione dell’ex presidente Giuseppe Mussari e dell’ex direttore generale Antonio Vigni, indagati per svariati reati, che adesso devono rispondere anche dei nuovi falsi scoperti.
L’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta procede dunque per mettere definitivamente a fuoco il ruolo del vecchio management prima della chiusura che potrebbe arrivare entro l’estate. Questa settimana i magistrati valuteranno anche la relazione della Banca d’Italia che ha chiuso l’ispezione sul dissesto dell’istituto di credito senese con una contestazione complessiva di 5 milioni di euro. Le sanzioni sono addebitate ai manager, ma anche ai componenti del consiglio di amministrazione e a quelli del collegio sindacale. Alla lista dei reati già  ipotizzati potrebbero essere dunque aggiunte le omissioni e gli abusi verificati dagli ispettori di Palazzo Koch. E a quel punto si allungherebbe pure la lista degli indagati.
L’analisi dei bilanci ha mostrato come dal 2009 in poi — quando fu acquisita per 9,3 miliardi di euro la Banca Antonveneta dagli spagnoli del Santander che appena due mesi prima l’avevano pagata 6,3 miliardi di euro — ci siano una serie di «voci» contraffatte o addirittura non contabilizzate. È il caso del derivato «Alexandria», gestito con Nomura nel tentativo di sanare le perdite, che invece si è rivelato un ulteriore strumento negativo per le casse di Mps. Sono stati gli accertamenti compiuti dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di Finanza ad evidenziare gli illeciti e adesso saranno proprio Vigni e Mussari a doverne dare conto.
Gli investigatori guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno scoperto che il valore di questa operazione ha avuto un costo pari a 220 milioni di euro che avrebbe dovuto essere contabilizzato da Mps e invece è finito in carico a Nomura. Un artifizio contabile che avrebbe garantito alla società  di brokeraggio numerosi vantaggi: una commissione pari a 88 milioni di euro, una cedola a tasso fisso del Btp 34 pari al 5 per cento su 3 miliardi di euro l’anno e soprattutto una linea di finanziamento per oltre due miliardi di euro.
Si indaga sui conti, ma proseguono anche le verifiche sulla morte di David Rossi, il capo della comunicazione di Mps morto suicida il 6 marzo scorso. Il giorno dopo le dichiarazioni di Beppe Grillo che non ha escluso come qualcuno possa «averlo suicidato» e poi si è detto convinto che «non sarà  l’ultimo morto», gli inquirenti non nascondono irritazione e fastidio. I risultati dell’autopsia dovrebbero arrivare tra qualche giorno e poi l’inchiesta — avviata per istigazione al suicidio in modo da poter effettuare una serie di analisi e accertamenti non ripetibili — dovrebbe essere archiviata. I controlli sui tabulati avrebbero escluso che prima di buttarsi dalla finestra del suo ufficio Rossi avesse avuto una lunga telefonata con un interlocutore misterioso, come invece si era inizialmente ipotizzato.
«Ho fatto l’ultima cazzata», aveva scritto su un biglietto trovato strappato in un cestino nella sua stanza a Rocca Salimbeni. Dopo aver interrogato parenti, amici e colleghi, ma soprattutto dopo aver esaminato i contatti e gli incontri avuti dal manager nelle ultime settimane, gli inquirenti sembrano convinti che la sua morte non sia collegata all’inchiesta su Mps, piuttosto a vicende personali e ad uno stato di depressione che lo aveva colpito negli ultimi mesi. Anche per questo la sortita di Grillo viene ritenuta quasi una provocazione.
Fiorenza Sarzanini


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