«Pronti a colpire l’America con l’atomica»

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WASHINGTON — L’esercito nordcoreano ha ricevuto l’ordine per un attacco nucleare contro gli Usa: l’annuncio, nella notte, ha aperto un nuovo scenario nella crisi lungo il 38esimo parallelo. Con molte fonti di alto livello che ormai parlano di rischi di guerra. Gli stessi americani, ieri notte hanno risposto tramite la portavoce della Casa Bianca Caitlin Hayden («La Nord Corea interrompa le sue minacce e si conformi agli obblighi internazionali»), sarebbero stati in realtà  già  informati su una possibile iniziativa militare del bizzoso dittatore Kim Jong-un. E, infatti, il Pentagono nelle ultime 48 ore ha disposto misure per rafforzare le difese nel Pacifico. Saranno schierati a Guam sistemi antimissile, verrà  inviato un sofisticato e gigantesco radar galleggiante per «tracciare» eventuali ordigni lanciati da vettori, un gruppo navale guidato dalla portaerei Nimitz potrebbe raggiungere il settore.
A sottolineare la fragilità  del momento ci ha pensato il segretario alla Difesa statunitense Chuck Hagel che ha telefonato al suo collega cinese Chang Wanquan. Un colloquio per cercare informazioni dirette e suggerire pressioni su Pyongyang: «C’è un pericolo reale — ha dichiarato Hagel —. Lavoriamo con i cinesi per evitare il conflitto». Pechino non ha per nulla sminuito i rischi e si è detta «seriamente preoccupata». Ancora più inquieta la Russia, per la quale la «situazione nella regione è esplosiva».
Del resto a leggere i dispacci dell’agenzia nordcoreana Kcna c’è da stare in guardia: un attacco nucleare «è possibile. Le minacce Usa saranno distrutte anche con mezzi nucleari». Poi una frase che lascia spazio all’ambiguità : «Nessuno può dire se una guerra esploderà  o no in Corea e se esploderà  oggi o domani». L’esercito di Kim non ha certo le armi per raggiungere l’America ma è in grado di colpire le installazioni Usa nel Sud o in Giappone. Ciò spiega perché la diplomazia, con l’aiuto degli 007, prova a disegnare scenari e a prevedere cosa potrebbe tentare il dittatore trentenne.
Qualche ora prima dell’annuncio Pyongyang ha alzato la temperatura con altri due passi. Il primo. Il regime nordcoreano ha impedito agli operai del Sud di raggiungere il parco industriale comune a Kaesong. Simbolo della cooperazione, la zona rappresenta una fonte di ricchezza per le esangui casse di Pyongyang: 87 miliardi di dollari. Dunque il Nord potrebbe avere qualche conseguenza, ma molto dipenderà  da quanto durerà  il blocco. Un evento, peraltro, già  avvenuto nel 2009 all’indomani di manovre militari Usa-Sud (come adesso) e chiusosi abbastanza rapidamente. Più simbolico il secondo passo. Il governo nordcoreano ha annunciato che verrà  riavviata la centrale nucleare di Yongbyon: mossa che può apparire forte ma che, secondo gli esperti, è complicata dalla mancanza di fondi.
È però evidente che, in una fase di muro contro muro, dove anche i gesti e i discorsi hanno un peso, tutto torna utile. Kim, secondo diversi analisti, sta cercando di consolidare il suo potere, vuole proiettare un’immagine di leader risoluto ma, forse, avrebbe anche in animo di lanciare le attese riforme. E tutto questo «fumo» — sempre che non arrivi il fuoco — potrebbe fare da cortina per dei cambiamenti in un Paese immobile. Un processo peraltro non facile, forse ostacolato dalla vecchia guardia sempre presente alle spalle del dittatore. Sono ricorrenti le voci di epurazioni tra i quadri così come si è sparsa la notizia inverificabile di un fallito ammutinamento militare che aveva per obiettivo lo stesso Kim. E questo avviene in una realtà  dove l’intelligence fatica a cogliere la cifra esatta, a comprendere cosa accade nei palazzi della nomenklatura. Una «nebbia» che, fatalmente, aumenta i timori e può innescare eventi non sempre controllabili.


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