Quella trappola della paralisi con la successione alle porte

by Sergio Segio | 3 Aprile 2013 7:04

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ROMA — Chi temeva una secca bocciatura dei mercati si sente rinfrancato e può tirare un sospiro di sollievo: la Borsa è salita, ieri, e lo spread non solo non si è impennato, ma è sceso del quattro per cento. Due dati che confermano come le piazze finanziarie (e allo stesso modo, per il momento, le cancellerie dell’Eurozona e quelle internazionali) stiano prendendo le misure della situazione italiana, ma senza nuovi allarmi e soprattutto senza stroncare l’ultimo tentativo del presidente della Repubblica per trovare convergenze e non interrompere lo sforzo di assicurare una decente governabilità  al Paese.
Effetto pink glasses, «occhiali rosa», come dicono gli operatori economici per indicare certe imperscrutabili fasi di ottimismo? Chissà . Sta di fatto che l’insediamento dei dieci «saggi» — o meglio, secondo la definizione cara al Quirinale, «facilitatori» — è accolto fuori dai nostri confini assai meglio di quanto sia avvenuto da noi.
La rincorsa di polemiche, sospetti, esasperati esercizi di dietrologia più o meno bipartisan piovutigli addosso nelle scorse 48 ore proprio per quella scelta, hanno amareggiato Giorgio Napolitano. Il quale, ricevendo nel suo studio i componenti delle commissioni, si è sentito costretto a precisare l’orizzonte temporale, molto breve, della missione affidata loro. Specificando anche, contro ogni rischio di delegittimazione, che non indicheranno «soluzioni di governo» e che insomma non faranno nulla che possa essere o apparire come interferenza ai compiti del Parlamento e delle forze politiche.
Basteranno queste precisazioni, che il capo dello Stato non pensava di dover fare dopo aver già  anticipato sabato le sue intenzioni, a fermare l’impazzimento di Pasqua? Saranno sufficienti per arginare l’ansia di un cupio dissolvi totale e le tensioni che adesso si scaricano perfino sul Quirinale, come se lassù si mettesse a punto qualche manovra segreta e inconfessabile?
Il presidente lo spera. E non tanto per il proprio orgoglio personale (certo, alcune critiche e alcuni fuorvianti distinguo lo hanno ferito, ma soprattutto gli sarebbe piaciuto completare il settennato lasciando le cose in ordine e in clima di maggiore concordia ispirato a dare alla gente «un senso di comunità » invece di chiudere «in maniera surreale»), quanto perché — come ripete — il Paese ha davvero urgente bisogno di essere governato. E lui, al termine di un doppio giro di consultazioni, ha verificato direttamente l’impossibilità  di avviare una fase politica nuova, trovando tutte le strade «chiuse o sbarrate». Sulla via negoziale, insomma, non c’erano chances. E, del resto, non intendeva avallare la sfida di un governo «di minoranza», come rivendicato dal segretario del Pd, pre-incaricato e presto «congelato».
La paralisi: ecco la trappola che Napolitano ha cercato di evitare per il periodo che ci separa dal giorno in cui le Camere si riuniranno per eleggere il suo successore. Per cui ha pensato di mettere a frutto le prossime due settimane scarse attraverso i gruppi di lavoro che ha voluto lanciare in campo.
Due team di «saggi» (in alcuni casi con esperienze dentro alle istituzioni) i quali potrebbero spezzare, o magari soltanto allentare, la spirale di incomunicabilità  fra partiti che si sentono e si comportano ancora come se fossero in piena campagna elettorale. Oltre a compilare un’agenda minima di riforme e provvedimenti condivisi che il presidente metterebbe a disposizione del proprio successore. Anche se non si può escludere che la utilizzi personalmente, aprendo lui stesso un ulteriore (e sarebbe il terzo) giro di consultazioni, così da offrire a tutte le forze politiche il bilancio di quest’ultimo tentativo in extremis.
Qualche segnale di timidissima, e ancora troppo acerba, apertura ieri lo si è percepito. Prove di dialogo tra persone malate di afasia, però. Nell’entourage del capo dello Stato questi primi e malfermi passi sono seguiti con attenzione e prudenza, nella consapevolezza che la vera partita si gioca ormai sul prossimo inquilino del Quirinale.
Sarà  una partita dura, difficile e con molte variabili.

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