Riforma dell’aborto, Rajoy torna agli anni bui

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MADRID. Rajoy a colloquio con il papa, il vescovo di Madrid che tuona contro il Partido popular rimproverandogli di non approfittare della maggioranza assoluta per riformare cattolicamente le leggi dello stato mentre la riforma più dura della storia democratica in materia d’aborto è sul punto di diventare legge. Una coincidenza? 
Certo è che qualcosa deve aver radicalizzato il già  severissimo piano di smantellamento della legge socialista del 2010 sull’interruzione di gravidanza, a cui il ministro di Giustizia Alberto Ruiz-Gallardà³n lavora da quasi un anno con l’obiettivo di imporre il passaggio da un sistema di libera scelta a uno regolato da una lista di casi «leciti» di aborto. Con due possibili varianti: una in cui la decisione definitiva resta comunque alla madre e un’altra in cui i casi ammessi costituiscono limiti vincolanti per libertà  della donna. Gallardà³n sembrava propendere per la prima versione, ma è probabile che alla fine prevalga la formulazione più restrittiva, con soddisfazione dell’ala più conservatrice del Pp che preme per eliminare del tutto la discrezionalità  della scelta e limitare l’aborto a due soli casi: stupro e rischio per la salute della madre. Come nell’85. Anzi, peggio, considerato che la legge sull’aborto varata in quell’anno (la prima post-franchista) includeva la malformazione del feto nella casistica degli aborti ammessi.
Una possibilità  che Gallardà³n esclude perché «eticamente inconcepibile», come aveva dichiarato già  la scorsa estate subito dopo aver messo mano all’opera di demolizione della legislazione del Psoe, che regola l’aborto secondo un sistema di tempistiche: entro la quattordicesima settimana la madre può abortire senza dover giustificare la sua scelta e, nel caso di minorenni con più di 16 anni, senza neppure il permesso dei genitori.
Si tratterebbe – secondo il ministro – di evitare la «discriminazione» genetica. Ma già  ora gli aborti per malformazione fetale rappresentano una quota minoritaria: solo il 3% dei 118.359 praticati in Spagna nel 2011 (dati del ministero di Sanità ). Il Pp vorrebbe ridurla a zero, salvo poi far ricadere una pioggia di tagli sull’assistenza ai disabili. La vita a tutti i costi. Purché il costo ricada sulle famiglie.
E per chi non può o non vuole – lo ha fatto presente anche l’Organizzazione mondiale della sanità  – si aprono due strade: una – per chi se lo può permettere – porta fuori dalla Spagna; l’altra all’aborto clandestino, con tutti i rischi che esso comporta. Non è, insomma, con il divieto o con la limitazione dei diritti della donna che si riduce il numero degli aborti che peraltro – con 12,4 casi ogni mille donne in età  fertile – è perfettamente linea con la media europea.
La Spagna, dopo le conquiste sociali dell’epoca zapaterista, rischia dunque un balzo indietro di quasi trent’anni che porterebbe ad allineare la sua legislazione a quella di Malta e Irlanda (le uniche due nazioni Ue che non contemplano l’aborto in caso di malattie del feto) e allontanarla da quella dei paesi europei più avanzati e laici. Ma anche dalla volontà  della maggior parte della cittadinanza (per lo meno di quella che ammette la possibilità  legale dell’interruzione di gravidanza, dato che il 10% degli spagnoli vorrebbe metterla al bando completamente). Il 46% delle persone favorevoli all’aborto – secondo un sondaggio di Metroscopia – difende l’attuale legislazione, contro un 41% che appoggerebbe una legge basata su una lista di casi.
Al di là  dell’effetto sui numeri, la sensazione è che l’inversione di rotta del Pp voglia fomentare lo stigma sociale sull’aborto, con tanto di obbligo espiatorio alla giustificazione della decisione. Per questo da un sistema di libera scelta, (peraltro voluto da una donna, l’allora ministro de Igualdad Bibiana Aà­do) si tornerà  a un sistema di paletti in cui non sarà  più la donna a decidere.


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