Sud Sudan, prove di disgelo

by Sergio Segio | 13 Aprile 2013 7:30

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Ma il mancato accordo sul petrolio pesa sulla fine delle ostilità  ancora latenti Scuole e uffici chiusi, compresi quelli delle organizzazioni internazionali, e saracinesche abbassate per spingere la gente in strada lungo il percorso che dall’areoporto conduce verso la residenza del presidente sud sudanese Salva Kiir. Tra intensificate misure di sicurezza – alcune strade sono state chiuse e l’accesso ad alcune zone limitato già  a partire dal pomeriggio di giovedì – Juba si è preparata ad accogliere il corteo del presidente del Sudan Omar Hassan alBashir. Accompagnato da una delegazione governativa di circa 65 membri, tra cui il capo dell’intelligence e i ministri della difesa, del petrolio, dell’interno e degli affari esteri, il presidente del Sudan è atterrato ieri mattina presto in Sud Sudan per la sua prima visita ufficiale dopo la secessione votata dalla stragrande maggioranza dei sud sudanesi nel gennaio del 2011. Un’accoglienza in grande stile estesa anche alle aree fuori dalla capitale tappezzate per l’occasione con manifesti raffiguranti i due capi di stato.
Secondo quanto riportato alla stampa dal ministro dell’informazione sudanese Ahmed Bala Osman, l’obiettivo della visita sarebbe quello «di abbattere il muro di diffidenza tra i due stati e dimostrare determinazione politica per l’attuazione degli accordi» di recente raggiunti. Dichiarazioni a cui hanno fatto seguito quelle di Bashir durante il suo discorso a Juba che avrebbe annunciato «l’inizio di una cooperazione basata sulla normalizzazione delle relazioni tra i due stati» e la conferma da parte di Salva Kiir di un’intesa sulla strada del dialogo in vista della risoluzione di tutti i conflitti ancora in sospeso.
L’incontro è avvenuto a tre giorni da un altro meeting fissato da ambo le parti e che si terrà  per affrontare le problematiche inerenti la questione dei gruppi ribelli, la regione contesa di Abyei e il referendum per deciderne le sorti. La visita di Bashir a Juba arriva a conclusione dei colloqui tenutisi ad Addis Abeba, dove lo scorso mese, sotto l’egida della commissione di mediazione dell’Unione Africana guidata dall’ex presidente del Sud Africa Thabo Mbeki, è stato siglato l’accordo e fissato un calendario per la ripresa dei flussi di petrolio dal Sud Sudan attraverso gli oleodotti sudanesi verso il Mar Rosso. Accordo a cui una precedente intesa nell’ambito delle stesse trattative, tra i ministri della Difesa dei due Stati, aveva portato alla creazione di una buffer zone de facto demilitarizzata. Né basta. Agli inizi di questo mese infatti ulteriori segni di disgelo hanno contribuito alla distensione del clima politico generale.
A seguito dell’amnistia voluta da Bashir, i primi prigionieri politici hanno lasciato il carcere di Kober a Khartoum dove erano rinchiusi da gennaio. Decisione giunta dopo che la settimana precedente, il vice presidente sudanese Ali Osman Taha aveva invitato oltre a tutte le forze politiche e di opposizione anche i due leader dei gruppi ribelli attivi al confine con il Sud Sudan, Malik Agar e Abdelaziz al-Hilu, a partecipare ai lavori per la stesura di una nuova Costituzione, dichiarando che il dialogo con i ribelli del Sudan People’s Liberation Movement-North (Splm-North) avrebbe lo scopo di completare le «consultazioni popolari» in un processo atto a definire le relazioni tra i due Stati di confine del Sud Kordofan e del Blue Nile e il governo di Khartoum.
Dopo una guerra civile durata decenni e che ha causato circa 2 milioni di morti prima dell’accordo di pace del 2005, il Sud Sudan si è staccato dal Sudan nel luglio del 2011 ereditando le ricchezze petrolifere della regione meridionale. La chiusura nel gennaio del 2012 dell’output di greggio – circa 350.000 barili al giorno – per un contenzioso legato all’importo, calcolato in milioni di dollari, dei diritti di transito per il trasporto del greggio, attraverso territorio sudanese, richiesti dal Sudan al Sud Sudan, ha messo in ginocchio i bilanci dei governi di Khartoum e Juba. Invano gli investitori occidentali hanno sperato che la dipendenza di entrambi gli Stati dalle risorse petrolifere li avrebbe spinti ad allentare le tensioni e a trovare facilmente un accordo.
Paradossalmente, il fatto che il Sud-Sudan, Paese privo di sbocchi sul mare, abbia bisogno delle infrastrutture del Sudan per esportare il greggio e che il Sudan invece rivendichi costosissimi diritti di transito per la circolazione di merci e per i flussi petroliferi come compenso per le perdite economiche subite a seguito della secessione, ha invece contribuito a rallentare il raggiungimento di un accordo. A partire dall’indipendenza del Sud Sudan nel luglio del 2011, le relazioni tra i due Paesi sono rimaste ostili, con il Sudan che accusa il governo di Juba di sostenere i ribelli del Sudan People’s Liberation Movement-North (Splm-North) e il Sud Sudan che accusa Bashir di aver inviato milizie nella regione contesa di Abyei resesi responsabili di saccheggi e di azioni contro i civili.
Una diatriba che è costata perdite di miliardi di dollari in proventi petroliferi. Tra le attese generali di una risoluzione definitiva delle ostilità  ancora latenti, a fare da framework politico e umanitario il Darfur, con l’allarme lanciato proprio ieri dalla portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati, Melissa Fleming. Sarebbero infatti circa 50mila gli sfollati che dalla regione occidentale del Darfur si sono riversati nel vicino Ciad la scorsa settimana. Per crimini contro l’umanità  in Darfur Omar Hassan al-Bashir è ricercato dalla corte penale internazionale.

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