Thatcher La Signora che cambiò l’Inghilterra

by Sergio Segio | 9 Aprile 2013 6:43

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LONDRA. Le sue battute sono diventate leggendarie. «Non esiste una cosa chiamata società ». Oppure: «I minatori sono il nemico che abbiamo in casa nostra». E soprattutto: «Io non ho la retromarcia». Ovvero: non indietreggio. Eppure le parole che meglio la identificano non fu lei a pronunciarle: «Lady di ferro », il nomignolo con cui verrà  per sempre ricordata, fu coniato da Krasnaja Zvezda, quotidiano delle Forze Armate sovietiche, che voleva insultarla per l’atteggiamento bellicoso manifestato inizialmente nei confronti dell’Urss. Margaret Hilda Thatcher, morta ieri a 87 anni, lo prese come un complimento. Era una “lady”, una signora, la prima donna (finora l’unica) diventata primo ministro nella storia della Gran Bretagna e una delle prime salite al vertice della politica mondiale, questo è indubbio. Ma era una donna “di ferro”, più dura, tenace e resistente di molti uomini, senza paura di niente e di nessuno.
È raro che un nome di persona diventi sinonimo di un’idea. Come a Marx, Lenin, Mao, a lei è capitato. “Thatcherismo”, o rivoluzione “thatcheriana”, riassumono ciò in cui la Thatcher credette e il modo in cui cercò di realizzarlo. Non solo nel Regno Unito: perché la sua fede nel liberismo economico, nella deregulation finanziaria, nelle privatizzazioni, accoppiate a una politica estera intransigente e baldanzosa, fotografano un’era, gli anni Ottanta, che portò alla caduta del muro di Berlino, alla fine del comunismo, al trionfo del capitalismo senza freni. In sintonia con quanto accadeva dall’altra parte dell’Atlantico conil“Reaganismo”,lasuarivoluzione
introdusse gli anni rampanti di yuppie e junk-bonds, ma ha influenzato pure i leader che sono venuti dopo, ha contagiato il blairismo e la cultura del rischio finanziario, fino ai giorni nostri. Se più nel bene o nel male, lo decideranno gli storici, visto che le sue sfrenate liberalizzazioni hanno seminato i germi del crack globale del 2008 di cui ancora portiamo le ferite. «Abbiamo perso un grande leader e una grande britannica», dice David Cameron, suo erede conservatore, che la ricevette con tutti gli onori a Downing street. Come l’avevano ricevuta, con simile rispetto, i laburisti Blair e Brown.
La “lady di ferro” che ha cambiato destra e sinistra non sopportava il politicamente corretto. La prima volta che incontrò Gorbaciov gli disse senza preamboli: «Detesto il comunismo». Poi aggiunse: «Però se a lei va bene, può tenerselo, purché resti nei confini del suo paese». Ciononostante fu la prima a riconoscere nell’uomo della perestrojka un possibile partner, anziché un mortale avversario: «We can do business with this man», assicurò, si poteva dialogare con quel leader del Cremlino. «L’eguaglianza è un miraggio », disse in un’altra occasione, a proposito delle feroci lotte sociali innescate dalla sua politica. «Le opportunità  non significano niente se non includono il diritto di essere diseguali e la libertà  di essere diversi». Non era necessario essere d’accordo per ammirare la sua spietata sincerità .
La gente la chiamava informalmente “Maggie”. Il popolo, la maggioranza silenziosa, sentiva che lei parlava il suo stesso linguaggio. Era figlia di un droghiere e di una sarta. Studiò a Oxford, ma vi fu ammessa per un pelo. Prese una laurea in chimica. Con le sue borsette, i cappottini con stola di pelliccia, il filo di perle e la messa in piega, sembrava una tipica figlia della piccola borghesia, di cui condividevaivalorimoraliel’ambizione di riscatto sociale. Per caso, all’università ,lesseunlibrodel
filosofo Hayek e si avvicinò alla politica. Entrò in un partito conservatore che all’epoca aveva pochi dirigenti provenienti dal popolino e pochissime donne. Fu eletta deputato, promossa a viceministro, quindi a ministro dell’Istruzione. Guardandosi intorno, le parve che parecchi suoi colleghi maschi fossero dei pappamolle. Nel ’75 si candidò alla leadership del partito e vinse. Quattro anni dopo era primo ministro.
La Gran Bretagna veniva dall’inverno del“grandescontento”: scioperi, crisi economica, malessere sociale. Maggie partì lancia in resta. La “società ” per lei non esisteva, esistevano solo gli individui; dunque non era necessario nemmeno lo Stato, bastava spronare i meritevoli a cavarsela. Privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica aggravarono la recessione. Il sindacato dei minatori incrociò le braccia, ma lei tenne duro, usando la polizia per rompere i picchetti. Per un po’, fu impopolare. Poi l’Argentina ebbe la cattiva idea di invadere le Falkland, lei mandò l’esercito dall’altra parte del mondo e vinse facilmente la guerra, coprendosi di orgoglio patriottico. Sulle ali dell’entusiasmo, la Gran Bretagna si rimise in moto. La “lady di ferro” vinse tre elezioni consecutive e forse avrebbe continuato a vincerle, se il suo partito, diviso da gelosie intestine, non l’avesse rovesciata con una congiura.
Era di ferro, ma non inossidabile. Pianse, quando lasciò Downing street. La politica fu la sua droga: dormiva quattro ore per notte. Un segretario era costretto a farle compagnia, bevendo whisky con lei e ascoltando le sue tirate in un salottino di Downing street fino all’alba. Privata del potere, si è spenta anche fisicamente. Ha avuto vari infarti. Ha perso la memoria, affetta da una demenza senile che le faceva ricordare solo eventi lontani e dimenticare quello che era avvenuto un’oraprima. Alla fine conviveva con il fantasma dell’amato marito Denis («il potere è un esercizio solitario, ma con lui a fianco non sono mai stata sola, che uomo, che compagno, che amico»), scomparso nel 2003, come si è visto nel film di qualche anno fa in cui Meryl Streep l’ha interpretata come una figura implacabile ma non priva di umana fragilità . I figli le hanno dato altri dolori: Mark, uno scapestrato coinvolto in affari poco chiari e perfino in un fallito golpe in Africa; Carol, giornalista televisiva di poco conto, finita a partecipare a “L’isola dei Famosi”.
Ha suscitato odio tremendo, di frequente a ragione, come quando sostenne a spada tratta il generale Pinochet, quando era agli arresti domiciliari a Londra, difendendolo come «un amico della Gran Bretagna e un patriota per il Cile», tacendo della dittatura e delle torture. Nelson Mandela, viceversa, è stato per lei sino alla fine il capo di un’organizzazione terroristica. Ammettere di avere sbagliato non faceva parte del repertorio di Maggie. Ma riconosceva d’istinto la stoffa del leader: di Blair disse subito che era «un laburista differente» e «un politico formidabile». Formidabile è stata indubbiamente lei, comunque si considerino le conseguenze della sua politica. Emanava una forza tale da poter risultare, pur non essendo certo sexy, attraente agli occhi di molti uomini. Lo scrittore Kingsley Amis, padre di Martin e comunista convinto, la definì «una delle donne più belle che abbia incontrato». Francois Mitterand, primo presidente socialista di Francia, se ne invaghì, secondo un libro. E a Londra si ricorda ancora un ricevimento di gala in cui un ospite, avendo bevuto un po’ troppo, le disse chiaro e tondo che se la sarebbe portata a letto. «Lei ha ottimi gusti, signore », rispose Maggie senza fare una piega. «Ma dubito che nelle sue attuali condizioni otterrebbe grandi risultati».

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