Turchia e attivisti anti Assad Il doppio canale della Farnesina

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ROMA — C’è una doppia trattativa per cercare di riportare a casa i quattro giornalisti italiani rapiti nel nord della Siria. Ai canali ufficiali si sarebbe infatti già  affiancata la mediazione di alcuni attivisti siriani che da tempo vivono nel nostro Paese. Un aiuto prezioso, visto che la nostra diplomazia — così come quella degli Stati alleati — non ha più alcuna sede a Damasco e anche l’intelligence ha poca libertà  di movimento. Per questo, nonostante le rassicurazioni sulla possibilità  che la liberazione dei reporter possa essere questione di ore, alla Farnesina ci si muove con la massima cautela. Il pericolo è evidente: gli occidentali sono merce preziosa per i gruppi estremisti e dunque si cerca di evitare in ogni modo che possa essere alzata la posta. Non a caso la notizia era stata tenuta riservata per 24 ore, ma poi qualcosa è andato storto e adesso si cerca di evitare possibili rilanci dei rapitori sulla contropartita per il rilascio.
Amedeo Ricucci della Rai e i freelance Elio Colavolpe, Andrea Vignali, Susan Dabbous sono stati presi al confine con la Turchia, nell’area di Idlib controllata da una fazione di Jabhat al-Nusra. Si tratta di un gruppo salafita fondato nel gennaio 2012, che ha rivendicato diversi attacchi contro sedi dei servizi segreti a Damasco e ad Aleppo. È proprio il collegamento con Al Qaeda a fare paura, anche se chi tratta assicura che la richiesta per chiudere la partita sarebbero soltanto i filmati che i quattro hanno girato nella zona. Come sempre accade in questi casi si procede però a passi piccoli, consapevoli che un minimo dettaglio può far saltare tutto.
Il sospetto iniziale dei rapitori era che i quattro fossero spie. Ed è stato proprio questo il motivo che li avrebbe convinti a catturarli, controllare le loro attrezzature e poi trattenerli. Quando i giornalisti hanno comunicato alla Rai di essere prigionieri si è deciso di mettere in campo qualcuno che potesse parlare direttamente con i capi del gruppo e la mediazione è stata avviata. Ieri sera gli attivisti mandavano messaggi tranquillizzanti, assicuravano — anche utilizzando i social network — che «gli italiani stanno bene, entro due giorni al massimo saranno liberi». Un ottimismo che l’intelligence non sembra condividere, anche se le voci che i due interpreti siano già  stati rilasciati e portati oltre il confine turco, lascia aperta la speranza che la vicenda possa non andare troppo per le lunghe. Per questo è già  stato chiesto l’appoggio logistico — ma anche tecnico — al governo di Ankara.
Ad alimentare i timori degli analisti è soprattutto l’area dove sono stati presi gli italiani. Come è ben specificato sul sito internet del ministero degli Esteri www.viaggiaresicuri.it «elevatissimo è il rischio di rapimenti, attentati e violenze» e infatti viene raccomandato «di evitare le zone costiere settentrionali, con particolare riferimento a Latakia e Banias, nonché il distretto di Idlib, specialmente le città  di Jisir Al Shughour e Marrat Al Nouman e alle aree circostanti, nonché l’area di Deir Ez Zor». Chiara è anche la disposizione di adottare «comportamenti di estrema cautela, astenendosi dal fotografare o riprendere (anche con i cellulari) formazioni militari, eventuali manifestazioni o scontri». La presenza degli interpreti siriani aveva evidentemente rassicurato i giornalisti sulla possibilità  di svolgere il loro lavoro e invece quelle riprese davanti a una postazione di guerra li hanno fatti finire in trappola.
Fiorenza Sarzanini


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