Un lessico democratico per il motore del cambiamento

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L’elaborazione della sconfitta ha oscillato da una nostalgia per l’annunciata e mai avvenuta trasformazione radicale dei rapporti sociali e l’analisi mai indulgente verso i mutamenti, di segno opposto rispetto a quello immaginato, che sono intervenuti nella realtà  italiana. È emersa una storia dei «vinti» che non ha mai saputo «dialogare» con i movimenti che si sono affacciati sulla scena pubblica dopo il mirabile decennio. Ma accanto a questa ancora in divenire elaborazione della sconfitta, si è imposta, invece, una storia dei vincitori, che ha esercitato una indubbia egemonia nell’opinione pubblica. Una delle parole più osteggiate è stata sicuramente «conflitto», ritenuto foriera di legittimazione di pratiche sociali e politiche che mettevano in discussione l’assetto dei poteri economici e politici emersi nei decenni successivi.
Tuttavia, la società  italiana tutto è, eccetto un paese pacificato, come d’altronde testimonia il risultato elettorale di appena qualche settimana fa. Dovevano essere le elezioni di stabilizzazione di un sistema sistema politico dominato dall’agenda imposta dal blocco sociale raccolto attorno alla figura carismatica di Silvio Berlusconi e invece hanno restituito un paese che ha respinto proprio quella stabilizzazione auspicata. Sulla natura di questo rifiuto la discussione è aperta, anche se è certo che neppure l’agenda politica berlusconiana incardinata su un neoliberismo in economia e sul populistico legame osmotico tra il popolo e il «capo» non riesce a fare fronte alla più grave crisi economica che il capitalismo globale ha conosciuto dal 1929.
Altrettanto evidente è la debaclé della proposta del centrosinistra, mentre l’irruzione nelle istituzioni parlamentari del movimento cinque stelle alimenta un lessico moralistico e legalitario teso a prevenire possibili rivolte sociali. L’idea di una stabilizzazione del sistema politico è quindi durata giusto il tempo di una campagna elettorale. Vittima eccellente del risultato elettorale è però la visione negativa del «conflitto» consolidata durante l’egemonia culturale neoliberista.
Con il conflitto, e con le forme che assume, tutti i partiti politici della seconda repubblica i conti dovranno prima o poi farli. Chi assegna al «conflitto» un ruolo positivo, considerandolo il motore del cambiamento, è Pierfranco Pellizzetti, docente universitario di politiche globali e autore di alcuni volumi critici del berlusconismo ( Fenomenologia di Berlusconi , manifestolibri) e del neoliberismo made in Italy ( Liberista sarà  lei , Codice edizioni). Lo fa in un saggio da poco pubblicato da Codice edizioni dal titolo perentorio appunto di Conflitto (pp. 115, euro 9,90). 


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