Una (strana) inchiesta della Marina

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L’inchiesta, pubblicata da Repubblica che ne data le conclusioni a maggio del 2012, è stata condotta dall’ammiraglio Alessandro Piroli, all’epoca capo del Terzo reparto della Marina che si recò in India a marzo del 2012 assieme a un team di esperti ed eseguì sopralluoghi sia sulla Enrica Lexie che sul peschereccio a bordo del quale si trovavano Valentine Jelestie e Ajiesh Pink, i due pescatori morti. E le conclusioni, raggiunte anche sulla base delle perizie effettuate dalle autorità  indiane, furono che a uccidere Jelestie e Pink sarebbero stati proiettili calibro 5,56 Nato sparati da armi che non erano quelle in dotazione a Girone e Latorre, bensì ad altri due marò che si trovavano a bordo. Nel rapporto si ricostruisce anche il presunto attacco, quando viene avvistato il peschereccio che sembrava trovarsi in rotta di collisione. «Latorre e il sergente Girone si adoperano per effettuare segnalazioni luminose sicuramente visibili – è scritto – e mostrano in maniera evidente le armi al di sopra del loro capo». Nonostante questo il peschereccio avrebbe continuato ad avvicinarsi, tanto da convincere i marò di trovarsi di fronte a un attacco pirata e da sparare «le prime due raffiche di avvertimento in acqua». «Girone identifica otticamente tramite binocolo – è scritto ancora – la presenza di persone armate a bordo del motopesca… Latorre esegue la terza raffica di avvertimento in acqua, costituita da quattro proiettili». Pur senza arrivare a nessuna conclusione, dunque, affermando che le armi che hanno ucciso i due pescatori indiani non fossero di Latorre e Girone il rapporto sembra voler indicare l’innocenza dei due marò (ma allora perché da più di un anno Latorre e Girone rimangono in silenzio?). Senza però accusare nessuno: dire che i fucili che hanno ucciso appartengono ad altri due marò non significa infatti dire che siano per forza stati questi ultimi a sparare. In realtà  il rapporto non scioglie nessuno dei tanti dubbi che ancora circondano la vicenda. A partire dall’esistenza o meno delle regole di ingaggio per i sei fucilieri del battaglione San Marco. Appare strano infatti che l’ammiraglio Piroli non abbia riassunto quali fossero le regole di ingaggio stabilite per le operazioni antipirateria (e ancora oggi ufficialmente segretate) né se i due marò le abbiano seguite oppure no. Si accenna invece a Girone che avrebbe visto «tramite binocolo» persone armate sul peschereccio. L’uso del binocolo sarebbe una stranezza perché indicherebbe che i fucili in dotazione ai marò non hanno il cannocchiale come dovrebbero. Infine le raffiche sparate in acqua. Le regole di ingaggio devono spiegare quando applicate il cosiddetto «fuoco ostativo» e in che modo. Non si tratta di un particolare secondario: ogni militare sa che sparando in acqua bisogna tener conto del cosiddetto effetto «spiattellamento», vale a dire il rimbalzo del proiettile sull’acqua (probabile causa della morte dei due pescatori). Il cannocchiale serve proprio a questo, a calcolare l’angolo di deviazione del proiettile. Ma di tutto questo nel rapporto non ci sarebbe traccia, né nessuno sembra chiedersi il perché. Infine le armi che non sarebbero state quelle di Latorre e Girone. Lo scambio sarebbe, come ammesso ufficiosamente dalla Marina, una pratica normale, quindi la circostanza non avrebbe un valore particolare. «Piuttosto – si fa invece notare – un simile rapporto può essere utile a creare confusione per far capire agli indiani di aver preso due innocenti».


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