Alfano rassicura Letta sul governo Ma cresce la «fatica» dell’alleanza

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ROMA — Tra Scilla e Cariddi, tra il processo a Pier Luigi Bersani e i processi di Silvio Berlusconi, l’esecutivo deve fare i conti con le sentenze politiche e quelle giudiziarie, con un Pd che si riscopre a «vocazione minoritaria» ed è alla ricerca di un’identità , e un Pdl che teme di perdere il leader a cui deve la propria identità . Così non possono bastare le rassicurazioni che ieri Angelino Alfano ha dato a Enrico Letta dopo il vertice con il Cavaliere. È vero che il capo del centrodestra — come racconterà  in serata il segretario del Pdl ai dirigenti del suo partito — vuole «tenere al riparo» il governo dalle vicissitudini processuali che lo tormentano. Ma è altrettanto vero che si tratta di una proiezione a breve termine, perché — come rammenta chi frequenta spesso Palazzo Grazioli — «con Berlusconi il medio termine non esiste».
Si vedrà  se la condanna giudiziaria per l’ex premier si trasformerà  in una condanna politica per il premier attuale, è certo che oggi il Pdl non intende scaricare sul governo il peso delle decisioni del tribunale di Milano, «sarebbe un errore politico grossolano se lo facessimo», hanno convenuto ieri sera i maggiorenti del partito, da Denis Verdini ad Altero Matteoli. L’aveva già  detto Berlusconi a pranzo, con la delegazione ministeriale del suo partito: «Aspettiamo il governo alla prova dei primi cento giorni». Voleva forse intendere che se l’operato del giovane Letta fosse deludente, sarebbe pronto a dargli i «trenta giorni»? Non è così, perché il Cavaliere sa che «non è il momento», dato che un Paese ormai stremato chiede risposte ai problemi del lavoro e delle tasse, e se fosse precipitato verso le urne farebbe pagar dazio al Pdl. In più l’immagine di un Cavaliere furioso dopo la sentenza, trasmessa dai fedelissimi, non si combina con il compiacimento per la nomina di Giorgio Santacroce a primo presidente della Corte di Cassazione, sancita dal Csm al cospetto di Giorgio Napolitano. Nell’immediato il problema è semmai un altro: bisognerà  verificare quali effetti produrrà  nel Pd la vicenda giudiziaria di Berlusconi. E ieri sera le sollecitazioni di alcuni dirigenti del centrodestra verso gli alleati-avversari, le richieste cioè di «uscire allo scoperto» avanzate ai «garantisti di sinistra», davano l’idea di scaramucce da trentottesimo parallelo foriere di conflitto, specie dopo la sortita dei Cinquestelle che sono tornati a chiedere al Pd di votare in Parlamento per l’ineleggibilità  del Cavaliere.
Ecco il punto. Per quanto tempo i Democratici riusciranno a reggere l’insostenibile pesantezza dell’alleanza con il Pdl? E il centrodestra indurrà  il centrosinistra alla rottura? «Sarebbe un atto di stupidità  e di irresponsabilità », dice Fabrizio Cicchitto, che invece invoca un «incontro della maggioranza parlamentare con l’esecutivo, per stabilire percorsi reciprocamente riconosciuti e garantiti». Sarebbe un modo per saldare l’alleanza e porla al riparo dai fattori esterni, che tuttavia restano, come incognite che il premier non può valutare. La crisi in cui versa il suo partito è però al contempo un’opportunità  oltre che un problema, mette in difficoltà  Enrico Letta rispetto agli accordi di governo ma gli offre margini di azione in questa fase iniziale di assestamento.
Si tratta però di una corsa contro il tempo. Non a caso ieri al sinedrio del Pd, Dario Franceschini — interpretando anche il pensiero del premier — si è mostrato cauto sulla celebrazione immediata del congresso di partito, proprio «per non provocare problemi di tenuta» su Palazzo Chigi. C’è preoccupazione per l’assemblea di fine settimana, che potrebbe finire fuori controllo e dar voce agli animal spirits della base. Figurarsi quale potrebbe essere l’effetto delle assise nazionali su una forza politica cresciuta per venti anni a pane e antiberlusconismo. Insomma, Enrico Letta ha presente che il Pd rischia di diventare l’epicentro della crisi, e che tutto ciò potrebbe essere sfruttato nel centrodestra da parte di chi mira a una manovra speculare.
Perché non c’è dubbio che un pezzo di Pdl coltivi ancora l’idea di tornare al voto, temendo che l’azione combinata del governo e delle sentenze possano decretare la fine dell’era berlusconiana, dando inizio a una nuova stagione politica. Di qui l’attesa che dal campo opposto parta una provocazione per far saltare il banco, evitando la nascita di una maggioranza composta da un pezzo di Cinquestelle e l’area centrista. Il resto sono solo parole in libertà , come la storia che il Cavaliere possa ottenere un salvacondotto o salvarsi grazie a un «regalo» del Colle: Andreotti entrò da senatore a vita al processo di Palermo. La partita del governo è un’altra. «E per vincerla — come sosteneva giorni fa il ministro Maurizio Lupi — servono i soldi».


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