Concorso esterno, un giorno di scontro

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ROMA — Calendarizzato e ritirato nel giro di poche ore. Giusto il tempo di essere sommerso da una valanga di accuse: «scandaloso», «un ostacolo alle indagini», «un clamoroso passo indietro nella lotta alla mafia», «un regalo a Dell’Utri e a Cosentino».
È andata così per il disegno di legge di Luigi Compagna, ex senatore pdl ora nel gruppo Gal, sul concorso esterno in associazione mafiosa. Una proposta che, nell’introdurlo nel codice penale, prevedeva per quel reato una pena dimezzata: dai 12 anni attuali ad un massimo di 5. Niente carcere e intercettazioni per coloro che svolgono attività  di supporto ai boss. Obbligo per l’accusa di dimostrare che c’è stato un profitto.
Appena assegnato in commissione Giustizia il testo, relatore Giacomo Caliendo, è montata un’onda di polemiche tecniche e politiche: dall’Anm ai pm antimafia, dal Pd al Movimento 5 Stelle. Fino al Pdl che ha preso le distanze e, con il capogruppo Renato Schifani, ha chiesto e ottenuto dall’autore di ritirarlo.
Ma com’è potuto accadere? Luigi Compagna minimizza: «Se il problema erano le pene dimezzate si poteva decidere di alzarle, ma che quel reato andasse tipizzato non lo dicevo solo io, che sono uno storico: il mio ddl ne ricalcava uno quasi identico di Giuliano Pisapia». Ma perché presentarlo in questo momento? «Io ieri non ho presentato nulla. Quel testo era lì da tre legislature. Non faccio parte della commissione Giustizia che ha deciso di calendarizzarlo. E di fronte a una richiesta garbata, come è stata quella di Schifani, non c’è stato alcun problema a ritirarlo».
Unanime la bocciatura senza appello dei magistrati antimafia. E non solo. «Segna un arretramento, un indebolimento del contrasto al crimine organizzato», metteva in guardia il presidente Anm Rodolfo Sabelli. In rispettoso «disaccordo» con il ddl il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, «la pena — diceva — ora è adeguata alla gravità  del reato». «Proposta scandalosa. Abbiamo le prove di una rinnovata pressione mafiosa» protestava Vittorio Teresi, facendo notare che «con questa legge i reati contestati a Dell’Utri sarebbero prescritti». «Una leggina per amici», concordava l’ex aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. «Un passo indietro di proporzioni colossali» per il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. D’accordo il pm della trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo, che rimarcava: «Per la mafia è molto più importante l’appoggio di un politico, di un imprenditore o di un esponente delle forze dell’ordine che di un mafioso». «Non ci credo», si sbalordiva, Giancarlo Caselli procuratore di Palermo quando quell’accusa venne rivolta a Giulio Andreotti. «Perché depotenziare uno strumento che si è dimostrato molto utile nel contrastare le organizzazioni criminali?» chiedeva Franco Roberti. Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso condannava: «Questa proposta può trovare consensi solo tra mafiosi e criminali. Vergognoso a ridosso dell’anniversario della strage di Capaci». E Antonio Di Pietro faceva notare il colpevole «silenzio del governo».
Pioggia di «no» anche dai grillini («Inaccettabile» per Maurizio Buccarella) e dalla Lega («Irricevibile» per Nicola Molteni»). Dal Pd: Felice Casson spiegava «C’è una nostra proposta che rende i tempi così lunghi che Dell’Utri non si salverà ». E Sel attaccava: «Immorale».
Troppo per andare avanti. Prima il presidente Pdl della commissione giustizia Nitto Palma faceva notare: «La sua calendarizzazione è avvenuta nell’accordo di tutti i capigruppo, anche Pd». Poi Schifani dichiarava: «Non era una proposta del Pdl. Ma di Compagna a titolo personale. Lo invito a ritirarlo». Immediato il ritiro. «Opportuno», festeggia l’Anm.


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