Dimissioni ai vertici dell’Ilva «A rischio 40 mila posti di lavoro»
TARANTO — La decisione era già stata presa venerdì, ieri si è trattato di comunicarlo al mondo. Il consiglio di amministrazione dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa si è dimesso. L’Ilva, sott’accusa per disastro ambientale, con proprietari e dirigenti arrestati, con migliaia di operai in ansia per l’occupazione, da ieri è un mostro senza testa. Il presidente Bruno Ferrante, l’amministratore delegato Enrico Bondi e il consigliere Giuseppe Deiure hanno abbandonato la partita e hanno convocato l’assemblea dei soci per il giorno 5 giugno, data a partire dalla quale le dimissioni avranno effetto. Ordine del giorno: dimissioni ed elezione del nuovo cda.
Tutto questo, ha fatto sapere l’azienda, «dopo aver esaminato il provvedimento del gip di Taranto che colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva».
Il giudice di Taranto Patrizia Todisco è a caccia di otto miliardi e cento milioni di euro che i finanzieri cercheranno e sequestreranno nelle prossime settimane. Ieri una prima tranche: sono stati individuati e sequestrati beni per poco meno di un miliardo di euro e il timore è che non ce ne siano abbastanza per arrivare alla cifra indicata dalla magistratura. Ma al di là dell’inchiesta adesso quel che preoccupa tutti, a Taranto, è la questione occupazionale. «Il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all’attività industriale» dicono i dirigenti dell’acciaieria. E aggiungono che questa spallata rischia, come nessun’altra in precedenza, di farla crollare: «Sono a rischio 24 mila posti di lavoro diretti, 40 mila se si considera l’indotto» dicono fonti dello stabilimento. «Si sta mettendo in pericolo tutto e decine di migliaia di persone potrebbero rimanere senza lavoro».
«Una situazione davvero complicata a questo punto» conferma l’avvocato dell’Ilva Marco De Luca. Complicata sicuramente anche per la famiglia di Emilio Riva, l’ottatasettenne patròn dell’Ilva agli arresti domiciliari da luglio dell’anno scorso. I figli Nicola e Fabio indagati, i dirigenti dell’Azienda finiti in carcere o inquisiti, la procura di Milano che (pochi giorni fa) sequestra alla famiglia un miliardo e duecento milioni di euro e adesso il gip di Taranto che cerca di recuperarne altri otto. L’azienda in pratica è commissariata anche se formalmente Ilva spa può essere attaccata nel suo patrimonio di beni mobili e immobili soltanto «in via residuale». Per esempio se mettendo assieme tutti i beni da sequestrare non si arrivasse alla cifra voluta dalla magistratura che sarebbe equivalente, dicono le carte dell’inchiesta, alla cifra mai investita dallo stabilimento in risanamento ambientale e diventata «profitto illecito nella sua disponibilità ». Nelle poche righe del comunicato aziendale diffuso ieri pomeriggio si dice che la «situazione è grave» ma non c’è nessuna indicazione su ch cosa succederà adesso. Nei fatti il controllo dell’Ilva passa nelle mani della magistratura perché la Fire, sequestrata due giorni fa, controlla l’Ilva per l’83%. Quali saranno quindi le ripercussioni dal punto di vista dell’occupazione? Se il giudice attraverso il custode della Fire Mario Tagarelli nominerà un nuovo cda all’Ilva sarà di nuovo bloccata l’area a caldo dell’azienda sott’accusa per disastro ambientale? Per saperlo si dovrà aspettare il 5 giugno ma i tempi di giustizia e amministrazione non sono quelli della fabbrica. Nello stabilimento la preoccupazione non aspetterà giugno. È già sulle facce di tutti.
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