E ora sono i partiti a guardare l’M5S come possibile preda

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Il modo in cui i vertici grillini stanno reagendo alla sconfitta subìta alle elezioni comunali di domenica e lunedì, però, fa capire anche che la sberla è stata dolorosa; e non ancora riassorbita. Il colpo non è solo numerico, ma psicologico. E in politica le sensazioni contano quasi quanto i numeri. È un fatto che fino a qualche giorno fa Grillo teorizzava le prossime elezioni come una sfida fra sé e Silvio Berlusconi, col Pd spazzato via dal panorama.
Di colpo, la sensazione è opposta. Il M5S che osservava la sinistra come un serbatoio potenziale di voti, quasi una preda ferita a morte, è sulla difensiva. L’insistenza interessata del Pd sui «punti in comune» che esisterebbero fra il partito di Guglielmo Epifani e la formazione dell’ex comico dice proprio questo: è il Pd, ora, a sperare di recuperare consensi a spese del M5S, a cominciare dai prossimi ballottaggi. Ignazio Marino, il candidato della sinistra per il Campidoglio con buone possibilità  di vittoria, ieri si è presentato con lo slogan: «Noi faremo tornare di moda a Roma l’onestà  e la trasparenza». Una frase a effetto mutuata dalla campagna del M5S. L’analisi dei risultati conferma un movimento in affanno quando deve analizzare una situazione negativa.
In poche ore fra i seguaci di Grillo si è passati dall’idea che la colpa fosse dei media, a quella di un elettorato incapace di capire le virtù della protesta antisistema: fino alla versione autentica e, forse, definitiva, del leader. È quella che tende a spiegare astensionismo e calo dei voti con l’esistenza di «due Italie». Una, corrotta e interessata, avrebbe continuato a optare per i partiti tradizionali con una scelta «pesata e meditata». L’altra, che chiama «Italia B», sarebbe composta da lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccoli imprenditori, studenti, contraria allo status quo ma legata all’altra «come gemelli siamesi».
Chi ha votato Pd e Pdl ha premiato i partiti che «hanno distrutto il Paese»; e si condanna «a una via senza ritorno». Si tratta di una visione manichea che permette a Grillo di ammettere magari degli «errori», senza andare oltre. Anzi, rivendicando di essere stato «l’unico a restituire 42 milioni di euro allo Stato». Non solo. Da capo-partito un po’ tradizionale, invece di ammettere la sconfitta, il leader del M5S si vanta di avere raddoppiato i voti, raffrontandoli non con le politiche di febbraio ma con le precedenti comunali. Insomma, la linea sembra essere quella di minimizzare l’insuccesso; e di rifiutare le accuse dei militanti, secondo i quali l’isolazionismo grillino in Parlamento sia per la scelta del capo dello Stato, sia per il governo, ha reso sterile la sua strategia fondata sulla sola protesta.
Le parole che Grillo e i suoi sodali affidano al blog vanno lette come un messaggio non tanto all’Italia, ma ai propri fedeli delusi e tornati all’astensione. Sono analisi difensive, che sanno di giustificazione. D’altronde, secondo l’Istituto Cattaneo, che segue i flussi elettorali, circa il 50 per cento del non voto sarebbe attribuibile al M5S. Si teorizza che la Lega sta esplodendo per «l’abbraccio mortale con Forza Italia prima e con il Pdl poi»; e che è un rischio «al quale potevamo andare incontro anche noi, se avessimo accettato certe proposte di alleanza», sostiene il senatore Enrico Cappelletti alludendo al rifiuto di accordarsi col Pd. Eppure, quello che è stato respinto due mesi fa potrebbe apparire accettabile nelle prossime settimane. Grillo magari si infurierà , ma il M5S potrebbe trovarsi a trattare da posizioni di debolezza.


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