Equitalia e i 2 mila dipendenti (a rischio) dedicati alle multe

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ROMA — Logorante e insidiosa, la guerra di Equitalia. Un conflitto nel quale la tregua implorata ieri dall’associazione dei Comuni, che per lettera ha chiesto al governo una proroga dei servizi di riscossione esercitati da questa società  oltre la scadenza di legge del 30 giugno, materializza l’assurdità  della situazione che si è venuta a creare. Senza che in quasi due anni, tanto è passato dalla legge che sull’onda dell’offensiva leghista contro la crudeltà  del Fisco ha stabilito la fine del monopolio di Equitalia trasferendo la pratica ai sindaci, qualcuno si fosse concretamente attrezzato per evitare di cadere nella voragine che tutti sapevano si sarebbe aperta. Quanto profonda? Due miliardi, forse due e mezzo. Dice un rapporto presentato l’anno scorso dalla Fondazione Luigi Guccione e dall’Istituto internazionale per il consumo e l’ambiente che nel periodo 2006-2010 il gettito delle contravvenzioni stradali elevate dalle polizie municipali è stato di un miliardo 480 milioni in media l’anno. Ben 270 milioni nella sola città  di Roma, 130 a Milano. Per non parlare degli incassi garantiti finora da Equitalia ai Comuni a valere sulle somme iscritte nei cosiddetti ruoli della riscossione. Nel 2012 sono stati 825 milioni, contro i 940 del 2011 e il miliardo del 2010: una diminuzione progressiva, determinata dal venir meno di una misura dissuasiva come le ganasce fiscali. Ora applicabile solo a cartelle di importo superiore ai 2 mila euro. Al netto di questo problemino, sono numeri che fanno ben capire le dimensioni della faccenda. Le multe non pagate lievitano come la panna montata grazie ad alcuni meccanismi vessatori. Come quello di imporre il pagamento degli interessi semestrali del 10 per cento, dunque ben più elevati del tasso di usura, nonostante una sentenza del 2006 della Corte di cassazione abbia stabilito che si tratta di una pratica illegittima. Un esempio? A Roma una contravvenzione stradale da 37 euro elevata nel 2008, arriva dopo cinque anni a 156 euro e 83 centesimi, dei quali 12 e 58 vanno a Equitalia e il resto al Comune. Tantissime multe non vengono pagate perché notificate fuori dai termini per colpa dell’inefficienza degli uffici comunali. Il giudice di pace, di fronte ai ricorsi, non può che annullarle. Quindi c’è chi la multa non la paga per niente e chi invece la deve pagare quintuplicata magari soltanto perché l’ha dimenticata in un cassetto. Questo finora. Perché l’uscita di scena di Equitalia qualche segno non trascurabile lo lascerà . Almeno se è vero, come sostiene Marco Casi, deputato del Pd nonché ex assessore al bilancio del Comune di Roma, che i Comuni «non possono emettere ruoli e potranno agire solo con ingiunzioni al pagamento, che rischiano di ingolfare i tribunali e aumentare i costi della riscossione». Vedremo.
Ma se i sindaci rischiano di perdere i ricavi delle multe stradali, una fonte di incassi che per qualcuno un tempo era addirittura più sostanziosa della vecchia Ici, la storia potrebbe avere qualche fastidioso effetto collaterale anche per i contribuenti. Che certo grazie al caos pagheranno qualche multa in meno, senza però evitare di subire un supplemento non indifferente di spesa pubblica.
Equitalia ha la bellezza di 8.240 dipendenti. Di questi, circa 2 mila sono quelli che lavorano alle pratiche degli enti locali. Inutile dire che non si possono licenziare. Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate che controlla il 51 per cento del capitale della società  (il restante 49 per cento è in mano all’Inps) aveva proposto di trasferirli ai Comuni. Ma finora gli è stato risposto picche, pur essendo chiaro che se quel servizio dovrà  essere affidato ai municipi, magari attraverso società  municipalizzate apposite, qualcuno dovrà  pur farlo. E siamo pronti a scommettere che duemila persone non basteranno. Per il solo incasso di alcuni tributi comunali qual è ad esempio la tassa sui rifiuti il Comune di Roma, guidato dal sindaco Gianni Alemanno, schierato in prima linea nello scontro fiscale, ha una propria società  di riscossione. Si chiamava Roma entrate e in previsione di prendere in carico anche le pratiche gestite da Equitalia ha cambiato il proprio nome in Aequa Roma. Ha già  324 dipendenti e un consiglio di amministrazione di tre persone. Ovvio. Perché oltre al personale bisogna naturalmente considerare pure le poltrone nelle società  che soppianteranno Equitalia. Pubbliche, come per esempio quella che ha in mente il governatore della Lombardia Roberto Maroni. E magari qualcuno si affiderà  agli esperti che quel lavoro l’hanno già  fatto in passato. Gli esattori, ve li ricordate? E la spending review, vi ricordate anche quella?
Sergio Rizzo


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