Il caso Finmeccanica, i cda e la «rivoluzione» delle nomine

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Magari è presto per dire che si prepara una stagione nuova nelle nomine pubbliche. Bisogna certo aspettare di vedere le «procedure» e i «criteri» che
il Tesoro ha intenzione di introdurre per procedere alle designazioni delle persone da mettere nei consigli di amministrazione delle società  pubbliche.
E poi verificare la loro concreta applicazione: l’esperienza insegna che siamo specializzati nell’aggirare le regole.
Detto questo, non avevamo ancora assistito a un secondo rinvio di un pacchetto di nomine in una società  quotata in borsa, nella fattispecie la Finmeccanica, con la motivazione che «il ministero dell’Economia d’intesa con la presidenza del Consiglio intende definire procedure trasparenti per la nomina di amministratori nelle società  controllate e criteri generali di valutazione delle candidature volti ad assicurare la qualità  professionale e la competenza tecnica dei prescelti». Inevitabile che il rinvio facesse storcere il naso al mercato, dove la notizia ha depresso del 3,4% le quotazioni del gruppo industriale controllato dal Tesoro per quasi un terzo del capitale. Ma è una batosta che evidentemente non tiene conto delle possibili conseguenze di una simile decisione.
Proviamo a fare qualche ipotesi. Difficilmente, fra i criteri da introdurre in occasione delle nomine previste nella seconda settimana di giugno, non ci sarà  l’assenza di pendenze giudiziarie. Altrettanto difficile che manchi l’incompatibilità  con incarichi politici. Per non parlare dell’inesistenza di conflitti d’interessi e di requisiti minimi quale l’esperienza almeno quinquennale ai vertici di aziende del settore. Si può poi escludere l’apertura ad eventuali candidature di soggetti di Paesi dell’Unione Europea? Il tutto, se vogliamo credere alle «procedure trasparenti», con una selezione a evidenza pubblica.
Prendendo per buono uno scenario del genere, il primo banco di prova, quello della Finmeccanica, rischia di produrre effetti radicali, come l’azzeramento del consiglio di amministrazione. La scadenza naturale è fra un anno, ma adesso vanno coperti tre posti lasciati vuoti da altrettanti dimissionari. Due di questi, fra cui il presidente, toccano al Tesoro. Verranno scelti, ovviamente, con i nuovi requisiti ed entreranno in un consiglio dove già  siedono persone nominate in precedenza dal governo e dagli altri azionisti senza tener conto di quei criteri. Circostanza che non potrebbe non avere ripercussioni. Un caso? Se venisse stabilita l’incompatibilità  con incarichi politici e di governo, risulterebbe sostenibile la presenza nell’organo amministrativo di un consigliere che è anche commissario della Provincia di Varese, da lui in precedenza presieduta? Formalmente sì: Dario Galli è stato nominato due anni fa dal governo Berlusconi. Ma sulla opportunità  che il consigliere in questione conservi il doppio incarico c’è un dubbio grosso come una casa. Probabilmente non sarebbe neanche l’unico a trovarsi in una situazione di conflitto con i nuovi criteri, e a quel punto basterebbe un solo dimissionario per fare decadere l’intero consiglio.
Va detto che il dossier Finmeccanica è stato oggetto di pressioni politiche fortissime. Se fino all’ultimo c’è stato chi ha cavalcato l’idea di mettere una toppa (essenziale per il mantenimento degli equilibri interni) da mesi il Nens, centro studi fondato dall’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani con l’ex ministro Vincenzo Visco, tormenta l’attuale gestione con ustionanti analisi. Autrice è l’esperta francese Lisa Jeanne, convinta della necessità  di un ricambio totale per rilanciare un gruppo in crisi di risultati e soprattutto prospettive. Operazione che la mossa del ministro Fabrizio Saccomanni potrebbe ora facilitare. E non soltanto in Finmeccanica.
Perché l’applicazione di criteri esclusivamente meritocratici e professionali trasparenti (e aperti, ci auguriamo, a candidature europee) potrebbe sconvolgere letteralmente il tradizionale panorama delle nomine. Nelle prossime settimane Saccomanni deve procedere al rinnovo delle Ferrovie, nel cui consiglio ci sono Alberto Brandani, ex consigliere in quota Dc per vent’anni al Montepaschi fresco di nomina alla presidenza della Banca popolare di Spoleto, e il leghista Stefano Zaninelli. Ma ha sul tavolo anche la pratica delle nomine a Invitalia, presieduta dall’ex deputato ed ex sottosegretario di Forza Italia Giancarlo Innocenzi. E alla Sogin, la società  incaricata di smaltire le scorie nucleari, nel cui consiglio (presieduto come in molti casi da un ex ambasciatore, Giancarlo Aragona) troviamo l’ex senatore del Carroccio Francesco Moro. Senza dimenticare gli amministratori del F2i e della Sace, la società  assicuratrice dei crediti all’export che pur non essendo al pari del fondo strategico amministrato da Vito Gamberale controllata direttamente dal Tesoro, ma attraverso la Cassa depositi e prestiti, attende decisioni sui vertici da un paio di mesi e di sicuro non si sottrarrà  ai nuovi criteri. Anche qui è presidente un ex ambasciatore, Giovanni Castellaneta. Non manca però una poltrona da consigliere per l’ex assessore siciliano al Territorio Gianmaria Sparma. Né per l’ex deputato della Lega Ludovico Maria Gilberti.
Sergio Rizzo


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