Impugnato il referendum, Madrid va allo scontro

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BARCELLONA. Contro ogni ragionevolezza, il tribunale costituzionale spagnolo ha accettato di studiare il ricorso presentato dal governo centrale dopo l’approvazione da parte del parlamento catalano di una dichiarazione «sovranità  giuridica e politica del popolo catalano» votata a gennaio. L’atto era stato fortemente voluto da Esquerra Republicana (Erc), l’alleato principale dell’attuale presidente della Generalitat catalana, il democristiano Artur Mas, ed era stato appoggiato da 85 deputati (con 41 voti contrari, due astensioni e sette assenti), cioè da tutti i partiti eccetto i popolari, Ciutadans, e i socialisti, usciti spaccati dal voto.
La scommessa di Mas era proprio quella di segnare un punto simbolico rispetto alla battaglia per arrivare all’agognato referendum per l’autodeterminazione senza superare però la linea rossa giuridica proprio per evitare che il governo di Madrid impugnasse un atto con valore di legge. Cosa che invece il governo del Pp ha fatto, e su questo ricorso il tribunale costituzionale ha deciso di pronunciarsi. Secondo la costituzione spagnola, il referendum può essere convocato solo dal governo centrale.
La tensione in Catalogna inizia ad aumentare nel 2010, quando il tribunale costituzionale menomò lo Statuto catalano, frutto di sfiancanti negoziati all’interno della società  catalana e soprattutto con le Cortes di Madrid che alla fine, con fatica, l’avevano approvato. Il risultato finale, indigesto per molti catalani per i molti compromessi, era stato sugellato nel giugno del 2006 da un referendum (cui aveva partecipato solo la metà  degli aventi diritto). Quattro anni dopo, rimarginate le ferite, quando l’Estatut (che garantisce alla Catalogna un moderato grado di autonomia) inizia a funzionare a regime, arriva la sentenza del tribunale costituzionale. Che colpiva soprattutto gli elementi più simbolici per la cultura catalana, come la lingua, la bandiera, l’inno. Da allora, complice l’esplosione della crisi, l’appannarsi della stella di Zapatero (che aveva vinto parlando di Spagna plurale) e l’aumentata influenza politica a Madrid dell’ala più centralista e retriva, in Catalogna è iniziata una progressiva perdita di fiducia verso lo stato centrale. Su questo clima sempre più teso hanno soffiato forte i partiti più catalanisti, come Esquerra. Convergència i Unià³ (CiU), il partito di Artur Mas, era sempre stato tradizionalmente collaboratore dei governi di Madrid e non aveva mai parlato di indipendenza. Ma dall’ultima Diada, la festa catalana che si celebra l’11 settembre anche CiU puntò sulla massiccia manifestazione di un milione e mezzo di persone dietro il motto «Catalogna nuovo stato d’Europa» per cercare di ottenere la maggioranza assoluta nelle elezioni di novembre. Il progetto fallì, e CiU per ottenere la guida del governo monocolore di minoranza deve appoggiarsi a Erc, esplicitamente indipendentista. Esquerra in cambio ha chiesto la proclamazione del referendum nella simbolica data dell’11 settembre 2014. Invece di cercare di convogliare il malessere catalano su binari politici, la destra al governo a Madrid sembra cercare lo scontro frontale, di fatto rafforzando le posizioni più nazionaliste a Barcellona e dintorni. Proprio poche ore dopo la notizia proveniente dal tribunale, il parlamento ha votato la costituzione della commissione che avrà  il compito di esplorare il cammino giuridico «per garantire il diritto a decidere».


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