La Rete Cinese dall’India fino ai Caraibi

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E i due Paesi sono già  partner nel club dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che riunisce il gruppo di economie che crescono più rapidamente in un mondo ancora investito dalla crisi globalizzata.
Però i rapporti per decenni sono stati tesi. Ancora all’inizio di maggio, i militari cinesi e indiani si sono sfidati per tre settimane nella regione himalayana, dove nel 1962 i due Paesi si fecero guerra. Reparti dell’Esercito di Liberazione Popolare si sono spinti per 18 km in territorio controllato dagli indiani. Poi c’è il disappunto di Pechino perché New Delhi ospita il Dalai Lama, leader tibetano in esilio.
E soprattutto, c’è la rivalità  economica. Il Prodotto interno lordo della Cina è sei volte più grande di quello indiano, l’interscambio commerciale vale oltre 66 miliardi di dollari l’anno, ma è sbilanciato a favore dei cinesi, che hanno un surplus di 28 miliardi. La Cina è il secondo partner dell’India, che rappresenta per Pechino solo il 12°. Ma i due giganti non si possono ignorare, i loro sistemi produttivi hanno bisogno l’uno dell’altro per bilanciare la crisi dell’Europa e la lentezza della ripresa Usa.
Così Li Keqiang ha giocato la carta dell’umiltà , tattica preferita della Cina che ama ancora definirsi «Paese in via di sviluppo». Il premier si è presentato portando «a un popolo di 1,2 miliardi di persone il saluto di un popolo di 1,3 miliardi di persone» e ha insistito che l’obiettivo di Pechino «è sempre di soddisfare le sette necessità  di base quotidiane dei cinesi che sono: legna, riso, olio per cucinare, sale, salsa di soia, aceto e tè». Poi ha detto di capire le preoccupazioni indiane per lo squilibrio nella bilancia commerciale e ha promesso che l’accesso delle merci di New Delhi sarà  facilitato, per raggiungere quota 100 miliardi di dollari di scambi nel 2015. Sono seguiti accordi sull’agricoltura, le risorse idriche, per lo sviluppo di zone industriali e la costruzione di infrastrutture. Si è discusso del progetto di aprire un corridoio commerciale attraverso Birmania e Bangladesh.
Non sembra un caso che proprio nel corso di queste cerimonie da Washington sia arrivato l’annuncio che il 7 e l’8 giugno Obama incontrerà  il presidente Xi Jinping in California per un vertice tra la prima e la seconda economia del mondo.
Ma intanto Pechino continua ad allargare la sua rete, fino ai Caraibi: gli inviati (e i miliardi) cinesi sono arrivati in quello che George Bush chiamava «il terzo confine» degli Stati Uniti. Hanno stretto accordi con Grenada, Barbados, Giamaica. Il primo ministro di Grenada ha detto al Financial Times che «Pechino aiuta i Caraibi perché ha colto la frustrazione della regione per il disinteresse Usa». Colpisce questa avanzata cinese a Grenada: nel 1983 Ronald Reagan spedì nell’isola i Rangers dopo aver accusato il governo (golpista) locale di essersi venduto a cubani e sovietici. Ora la Cina compra tutto in blocco.
Alle Bahamas i cinesi stanno costruendo un resort da diversi miliardi di dollari; alla Giamaica hanno concesso 300 milioni per strade e ponti; ad Antigua hanno costruito uno stadio per il cricket. Questi investimenti non hanno significato economico per la Cina, perché i Caraibi non sono un gran mercato e non hanno particolari risorse naturali: si tratta di espansione politica.
La partita è appena all’inizio e la Cina conosce l’arte dell’attesa.


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