La stretta di Putin contro Medvedev via Surkov, il burattinaio del Cremlino

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MOSCA — Vladimir Putin ha ufficialmente scelto, ieri sera, la via su cui portare la Russia nei prossimi anni: tutto il potere concentrato sulla sua squadra di siloviki, gli ex esponenti delle cosiddette strutture di forza sovietiche, meglio se con un passato identico al suo da agenti dei famigerati servizi segreti del Kgb. Una scelta, da tempo nell’aria, che si è materializzata con il siluramento della cosiddetta “eminenza grigia” del Cremlino, il vice premier Vladislav Surkov, considerato il mago della dissimulazione, il fautore della linea putiniana di “democrazia autoritaria”, il grande suggeritore delle strategie, implacabili ma formalmente inappuntabili, nei confronti dell’opposizione e in materia economica.
La deposizione, con un decreto firmato da Putin in persona, è un segnale chiarissimo per tutta l’ala cosiddetta “liberale” della cerchia di potere russa. In particolare per il premier Dmitrj Medvedev, che pure per 4 anni aveva tenuto in caldo la poltrona presidenziale di Putin, forse illudendosi di avere un ruolo più importante di quanto non fosse in realtà .
Potente e misterioso, Vladislav Surkov non ha nemmeno una biografia chiara. Per alcuni avrebbe 51 anni, per altri 48. Potrebbe essere nato in una cittadina della Russia centrale, ma più è più credibile la tesi che lo vuole nato nella ribelle Cecenia. Il suo vero nome, in quel caso, sarebbe Aslambek Dudaev. Ora, tornerà  probabilmente a scrivere quei romanzi di fantapolitica che già  avrebbe fatto pubblicare sotto pseudonimo secondo indiscrezioni mai confermate.
Spettacolare carriera, quella di Surkov, spesso al fianco di persone ingombranti e spesso schierate l’una contro l’altra: da manager di fiducia dell’oligarca ribelle Mikhail Khodorkovskij, in carcere da 10 anni con accuse appositamente prefabbricate, a discepolo del potentissimo Boris Berezovskij divenuto poi menico del regime e morto un mese fa suicida a Londra. Poi a seguire, giovanissimo consigliere di Eltsin, di Putin e di Medvedev. A sintetizzare il suo ruolo e i suoi meriti ci ha pensato lui stesso in un’intervista di qualche tempo fa: “Ho aiutato Eltsin a gestire la fine dell’Urss. Poi ho aiutato Putin a stabilizzare la società ; adesso aiuto Medvedev a liberalizzare e modernizzare il Paese”.
Ed è proprio quest’ultimo aiuto che gli sarebbe costato caro. Il “clan” Medveded, verso il quale “l’eminenza grigia” si era sempre più spostato, pensava a una Russia apparentemente moderna e dal volto umano. E non ha digerito la svolta “all’antica” imposta negli ultimi mesi: il muro contro muro con gli Stati Uniti, i processi esagerati e platealmente falsi agli oppositori, la persecuzione dell’ong con la formula stalinista dell’ “agente straniero”. Un dissenso di immagine più che di atti concreti. Come nella storica fotografia dello studio di Surkov al Cremlino lasciata filtrare da un fotografo compiacente: sulla scrivania c’erano le immagini di John Lennon, Barak Obama, Che Guevara e il rapper Tupac Shakur. Un tocco di giovanile scapigliatura e di amore per l’Occidente. Ma nella nuova Russia di Putin non c’è più spazio per estetismi e simulazioni di democrazia. Via libera ai completi grigi e alle facce truci delle ex strutture di forza.


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