Le condizioni di Assad per la pace «Resto in sella e si vota nel 2014»

by Sergio Segio | 30 Maggio 2013 4:36

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GERUSALEMME — Il regime di Damasco garantisce la propria partecipazione alla conferenza di pace che dovrebbe tenersi a Ginevra entro la fine giugno. Una mossa che era stata già  annunciata da Mosca e spiazza le forze dell’opposizione armata sempre più divise tra loro proprio sull’opportunità  di partecipare all’evento organizzato sotto l’egida delle Nazioni Unite con il forte impegno russo e americano. Anche l’Iran, secondo quanto riferisce il vice ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, sarebbe stato invitato. Le posizioni restano comunque distanti. I ribelli chiedono le dimissioni immediate di Bashar Assad. Ma il dittatore rilancia una manovra già  provata in passato: annuncia che non abbandonerà  il suo posto prima delle elezioni previste per l’anno prossimo (le ultime nella primavera del 2012 furono una plateale farsa) e promette di ricandidarsi.
Da circa una settimana i leader della Coalizione Nazionale Siriana, il massimo organismo politico della rivoluzione, sono riuniti a Istanbul per deliberare su Ginevra. Ma ora quattro tra le milizie ribelli più importanti minacciano di ritirare il loro sostegno col rischio di delegittimare del tutto i propri rappresentanti politici scelti in autunno. È intanto scontro aperto tra brigate sostenute dal Qatar, più vicine ai movimenti dell’estremismo islamico, e invece quelle pagate dall’Arabia Saudita. Una crisi pesante nel fronte rivoluzionario, aggravata dal crescente attivismo del gruppo sciita libanese Hezbollah a fianco dei lealisti. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto ad Hezbollah di ritirarsi dalla Siria. E intanto arrivano testimonianze sempre più circostanziate circa l’uso delle armi chimiche da parte dei pro-Assad.
Eventi che testimoniano il caos imperante e rischiano di subire un ulteriore grave deterioramento con l’intervento armato di Israele come deterrente contro l’invio di missili russi al regime di Damasco. La prospettiva è quella dei primi giorni dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel giugno 1982. «Miriamo alla distruzione sistematica delle batterie di missili terra aria venduti al regime siriano. Trentuno anni fa abbattemmo anche i Mig senza troppi problemi, oggi la nostra superiorità  contro un esercito minato da oltre due anni di rivolte interne è ancora maggiore», sostengono tra i circoli di governo a Gerusalemme per spiegare le dichiarazioni bellicose del ministro della Difesa Moshe Yà alon due giorni fa. Lo stesso Consigliere per la Sicurezza Nazionale del premier Benjamin Netanyahu, Yaakov Amidror, in un recente incontro con 27 ambasciatori europei ha spiegato che «Israele impedirà  che gli S-300 divengano operativi, altrimenti il nostro intero spazio aereo rischia di diventare una grande no-fly zone». Lo specchio di un Paese che segue con attenzione gli sviluppi della destabilizzazione lungo i suoi confini settentrionali. «Sapremo noi cosa fare», aveva dichiarato a caldo Yà alon nell’apprendere dell’intenzione russa di vendere alla dittatura i missili anti-aerei S-300. Ieri però è arrivato l’ordine perentorio di Netanyahu di mantenere «il silenzio assoluto». «Dobbiamo affrontare con equilibrio le minacce che ci circondano», si legge in un comunicato. Il senso dell’allarme è dato dalle esercitazioni che vengono imposte alla popolazione. L’altro ieri le sirene hanno suonato un paio di minuti in tutto il Paese per verificare lo stato di salute delle difese civili. In mancanza di commenti ufficiali da parte del governo, sono gli esperti di cose militari ad offrire analisi approfondite. Sostiene Yossi Melman, uno dei commentatori più noti: «Abbiamo tutto il tempo per agire. Tra i comandi dell’esercito si valuta che, nel caso in cui gli S-300 dovessero raggiungere Damasco, passeranno almeno sei mesi prima che divengano operativi. Occorre che i militari lealisti imparino ad utilizzarli e per questo dovranno recarsi in Russia per corsi di addestramento. Israele inoltre non si è mai tirata indietro nelle azioni preventive. La nostra preoccupazione maggiore è che, nel caso di disgregazione del regime, queste armi possano cadere nelle mani della milizia sciita libanese Hezbollah. Nel 1982 la nostra aviazione colpì senza problemi. Nel settembre 2007 ha bombardato il reattore nucleare a est di Damasco e negli ultimi mesi ha già  distrutto tre volte armi che erano destinate al Libano».

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