Le tre vie di Obama Diplomazia, Armi e «Scenario Libico»

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Ripassando più volte con il pennarello sulla medesima linea rossa — l’uso di armi chimiche da parte di Assad come miccia per l’intervento —, ha preso tempo giocando su più tavoli.
Il primo è quello diplomatico. Come ha confermato ieri il New York Times gli Usa hanno fatto arrivare messaggi netti alla Siria affidandosi a russi, cinesi e iraniani: «La Siria non faccia follie, altrimenti pagherà  caro». Moniti cresciuti man mano che l’intelligence raccoglieva indizi sugli spostamenti delle armi proibite, su manovre dell’esercito siriano che facevano temere un uso immediato, sulle denunce di attacchi con il sarin. La speranza è che gli «ambasciatori» convincano Damasco a non alzare la posta. I critici, non a torto, sottolineano però che il regime i massacri li ha già  compiuti senza ricorrere alla «morte invisibile». La pulizia etnica condotta in questi giorni nelle zone costiere ne è un esempio sanguinoso. Ne è consapevole la Casa Bianca che si è detta «sconvolta» per le stragi a Baniyas.
La seconda carta nelle mani di Obama è quella di un sostegno più ampio, coordinato e robusto in favore di una parte della resistenza ad Assad. Un’estensione di quanto la Cia ha fatto in questi mesi lavorando gomito a gomito con i giordani, inglesi e francesi che hanno addestrato centinaia di guerriglieri armandoli poi grazie al denaro di Arabia Saudita e, forse, Qatar. Il piano prevede di investire in alcuni «ufficiali» ribelli considerati «sicuri» e lontani dal qaedismo, come il generale Salim Idris, comandante del Consiglio Militare Supremo. Nell’ultima settimana da Washington hanno più volte detto «stiamo considerando» l’opzione. Potenziare l’equipaggiamento degli insorti potrebbe dare loro la capacità  di reagire al «ritorno» dei lealisti ed estendere le aree liberate. Gli esperti però avvertono che nuove spedizioni di razzi anticarro, fucili e granate non cambieranno rapidamente il quadro. Finché Assad può usare aviazione, elicotteri e missili terra-terra è in grado di mantenere l’iniziativa, grazie anche alla collaborazione efficace di Iran e Hezbollah.
Per questo, alla fine, il presidente potrebbe essere costretto all’uso della forza. Fonti militari di un Paese mediterraneo ci hanno confidato di aspettarsi un’estate «calda», con mobilitazione di basi e grande traffico di caccia. Tutto è pronto al Pentagono. Un eventuale intervento non prevederebbe uso di forze terrestri, bensì lo schema libico. E allora raid aerei, lanci di missili da crociera da navi e sottomarini, droni, bombardamenti per debilitare la difesa siriana. Un’onda d’urto dove ci sarebbe spazio per missioni di forze speciali. Nuclei ridottissimi. Fantasmi che colpiscono e svaniscono. Lo scenario ideale per tenere lontano quello peggiore. Indiscrezioni apparse sulla stampa Usa hanno rivelato che il Pentagono, se dovesse arrivare un ordine, è pronto a schierare 22 mila uomini in Giordania. Ma la Casa Bianca si augura che non accada. Perché vorrebbe dire essere coinvolti in una guerra che ben pochi americani hanno voglia di combattere.


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