Libere di pregare e di apparire Vincono le donne di Gerusalemme

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GERUSALEMME — L’apparizione di Bar Refaeli è stata il segnale che tutti hanno potuto vedere. I manifesti con la nuova pubblicità  stanno appesi sui muri di Gerusalemme da dove le donne sono state bandite per anni. Al punto che il poster per la scorsa edizione della maratona cittadina lasciava solo intravedere una partecipante (nascosta dall’uomo in primo piano). Al punto che quando non si poteva farne a meno le donne venivano disegnate piuttosto che mostrarle in fotografia.
Il cartellone con la modella israeliana è il risultato della battaglia lunga diciotto mesi di un gruppo di attiviste. Combattono — come le femministe che chiedono di pregare al Muro del pianto alla pari degli uomini — l’esclusione e la separazione negli spazi pubblici: che siano i quartieri ultraortodossi, gli autobus con le aree riservate ai maschi, le cerimonie religiose. I pullman in servizio a Gerusalemme continuano a non esibire pubblicità  con la presenza di donne, ma adesso hanno garantito l’eguaglianza nell’invisibilità  e hanno smesso di far apparire anche gli uomini.
Haaretz elenca i successi dei laici nella difficile convivenza con gli oltranzismi della comunità  haredi. «L’esclusione femminile è il risultato di un crescente estremismo religioso — commenta Rachel Azaria, consigliere comunale, al quotidiano —. È un piccolo gruppo che prova a imporre la propria volontà  a tutti gli altri: quando abbiamo cominciato a reagire la situazione è cambiata».
Alla fine di aprile un tribunale di Gerusalemme ha dato ragione alle Donne del Muro, l’organizzazione che dal 1988 combatte per poter pregare davanti alle pietre più sacre dell’ebraismo come gli uomini: vuol dire indossare i tallit (lo scialle da preghiera), i tefillin (scatolette di cuoio legate con le cinghie, contengono versetti sacri) e recitare la Torah ad alta voce (t’fila in ebraico vuol dire preghiera). Sono le quattro «T» simbolo della protesta che i rabbini haredim leggono come una sola parola: tradimento dell’ortodossia. Secondo il giudice, le donne non contravvengono alle «usanze locali», mentre la Corte Suprema dieci anni fa aveva preferito tutelare «la sensibilità  degli altri credenti».
Venerdì scorso sono arrivate in almeno cinquecento per la cerimonia prevista il primo giorno del mese nel calendario ebraico. Questa volta sotto scorta della polizia che le ha protette invece di arrestarle: attorno migliaia di ultraortodossi che hanno insultato loro e gli agenti («nazisti» «tornatevene in Germania»), hanno tirato pietre, spazzatura e bottiglie di plastica.
Il rabbino Ovadia Yosef aveva ordinato alle studentesse delle scuole religiose di «invadere» la piazza. Una mossa che potrebbe rimpiangere: le ragazze si sono trovate di fronte a un rituale che per loro resta proibito, qualcuna si è avvicinata — come racconta su Twitter l’attivista Hallel Abramowitz, nipote adolescente della comica americana Sarah Silverman — e ha detto di aver vissuto «un momento molto significativo». Sembra avverarsi la profezia di Anat Hoffman, tra le leader del movimento: «I rabbini non sembrano capire che queste studentesse — ha detto al New York Times — finiranno con il chiedersi “perché io no?”. Una domanda molto sovversiva».
Il governo di Benjamin Netanyahu sta cercando di trovare un compromesso: la controversia intacca i rapporti con gli ebrei americani, molti di loro appartengono alle congregazioni conservative e riformiste che sostengono la sfida di Women of the Wall. Nathan Sharansky, eroe della dissidenza sovietica e capo dell’Agenzia ebraica, ha presentato un piano per creare un’area dove le donne possano pregare come chiedono.
Naftali Bennett, da ministro degli Affari Religiosi, ha annunciato che proporrà  nuove regole per i luoghi sacri. La paura è che il leader del partito dei coloni voglia ridimensionare la sentenza del tribunale. Allison Kaplan Sommer gli ricorda su Haaretz le origini della sua famiglia a San Francisco e il manifesto della sinagoga (riformista) frequentata dai genitori prima di immigrare in Israele: «Abbracciare la diversità ».


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