Morti sul lavoro: tre al giorno

by Sergio Segio | 21 Maggio 2013 15:23

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Al molo Giano di Genova, tra le macerie della Torre piloti abbattuta dalla nave portacontainer Jolly Nero, le ricerche sono finite. Nove vittime in una sola notte. Ma lo stillicidio di morti sui luoghi di lavoro continua dall’inizio dell’anno, in tutta Italia. Sono stati infatti 125, complessivamente, gli incidenti mortali nel primo quadrimestre del 2013, secondo i dati dell’osservatorio sul lavoro di Vega Engineering. Con un picco preoccupante tra aprile e marzo, quando le vittime sono passate da 24 a 51.

«E la strage prosegue anche nel mese di maggio: una tragedia senza confini, che va da Nord a Sud del Paese» è l’allarme di Mauro Rossato, presidente dell’osservatorio. Lo studio nella sua ultima edizione mette in evidenza anche la diversità  di situazioni da regione a regione. Ai primi posti, per numero di decessi, si collocano l’Emilia Romagna e la Lombardia, con 14 morti ciascuna, seguite dalla Sicilia (13), dal Piemonte (12) e dal Lazio, con 10 casi. Veneto e Campania, invece, contano 9 decessi ciascuna. La maglia nera, se si calcola l’incidenza della mortalità  rispetto alla popolazione lavorativa, spetta a Calabria e Molise. Osservando invece le classifiche provinciali, con 5 decessi, sono Foggia e Cosenza a contare il maggior numero di vittime; mentre i rischi di mortalità  più elevati si registrano a Oristano e Trapani.

«La realtà  è che in Italia, ancora oggi, muoiono tre lavoratori al giorno», sottolinea Mario Patrucco, professore di valutazione e gestione dei rischi al Politecnico di Torino, «alle statistiche ufficiali dovremmo infatti aggiungere tutto il fenomeno del sommerso. Quello, cioè, relativo a chi lavora in nero, che ovviamente non viene conteggiato dalle fonti istituzionali». I settori produttivi più a rischio si confermano l’agricoltura, con più del 40 per cento degli infortuni mortali, e l’edilizia (20,8 per cento). Seguiti, a distanza, dal commercio e e dalle attività  artigianali, in cui si concentra il 9,6 per cento dei casi. «Mano a mano che la crisi economica si fa più pressante, d’altronde, a farne le spese è anche la sicurezza dei lavoratori», continua Patrucco, «le aziende oggi fanno sempre più fatica a investire nell’addestramento e nell’informazione dei dipendenti. Senza contare il fatto che le macchine e le attrezzature diventano sempre più obsolete e, per mancanza di liquidità , non vengono rinnovate».

Quali le cause degli incidenti? Nei primi quattro mesi del 2013, come già  in passato, le cadute dall’alto hanno provocato il 24 per cento delle morti. E raggiungono la stessa percentuale gli infortuni per il ribaltamento di veicoli e mezzi di trasporto. In 1 caso su 5 la morte avviene invece per lo schiacciamento dovuto alla caduta di oggetti pesanti. Sono situazioni che, rileggendo le statistiche degli ultimi anni, ritornano. «Nel 90 per cento dei casi si tratta di cause elementari, ma ripetute e cronicizzate. Violazioni di norme vecchie, note a tutti da tempo», spiega il docente del Politecnico torinese. Che assieme ad altri studiosi e professionisti piemontesi ha aderito al progetto “Meno carta più sicurezza” (www.menocartapiusicurezza.it): «Semplificare e ridurre gli oneri burocratici, sviluppare una reale cultura della sicurezza: anche questo è un obiettivo fondamentale da raggiungere per combattere il fenomeno delle morti sul lavoro».

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