Pd, l’accordo non c’è «E domani in assemblea può scattare la rissa»

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ROMA — «Se andiamo avanti così rischiamo che sabato finisca il Pd…». Sabato è domani, manca un giorno all’assemblea nazionale e Pippo Civati, punto di riferimento per tanti giovani ribelli, quasi spera nel big bang. Dal caos può venir fuori di tutto. Anche un segretario a sorpresa, frutto di una conta sanguinosa. Un nome come lo stesso Civati, persino? Lui dice che «è presto per parlarne», ma teme che il Pd possa non reggere un nome in continuità  con la vecchia dirigenza.
«Il primo che si alza scoppia la rissa — avverte Civati — Se c’è il voto segreto finiamo in mano ai franchi tiratori». Laura Puppato raccoglie le firme su un documento anti larghe intese e una quindicina di giovani parlamentari, tra cui Fausto Raciti ed Enzo Lattuca, aprono ai ribelli. «Occupy Pd», critico con il governo Letta, organizza le truppe, si prepara a premere alle porte della Fiera di Roma e cerca un outsider da lanciare… Brutto clima, in casa democrat. I «facilitatori» Sereni, Scalfarotto, Zanda, Speranza, Amendola e Sassoli hanno proposto due vie d’uscita. Due strade entrambe impervie, per arrivare alla scelta di un segretario. La prima è una figura di garanzia. Un vecchio saggio o «padre nobile» disposto ad accettare la reggenza fino al congresso di ottobre, senza coltivare velleità  di ricandidarsi. Per questa soluzione era stata individuata Anna Finocchiaro. Ma bersaniani e franceschiniani — che fanno asse tra loro e con i lettiani — temono per la senatrice un «effetto Marini», il rischio cioè che possa essere impallinata per il suo bagaglio politico dai 750 membri dell’assemblea che hanno diritto di voto. Motivo per cui si lavora anche su altri nomi, tra cui Fassino, Chiamparino e Chiti. Ma il sindaco di Torino dovrebbe spogliarsi della fascia tricolore e il suo predecessore mollare la remuneratissima presidenza della Compagnia di San Paolo. Resterebbe Chiti, già  ministro e presidente della Toscana.
La seconda via «passa attraverso il rinnovamento». Cercasi giovane virgulto che traghetti il Pd verso le assise per poi candidarsi, da protagonista. Chi meglio di Nicola Zingaretti? Ma il presidente del Lazio si tira fuori perché non può lasciare la Regione. Anche Gianni Cuperlo smentisce di essere in campo in questa fase, ecco allora spuntare il segretario lombardo Maurizio Martina ed Enzo Amendola, che coordina i leader regionali. Dal gioco dei veti incrociati esce meno malconcio degli altri Roberto Speranza, 34 anni, che stando ai pronostici dell’ultim’ora lascerebbe a Pier Luigi Bersani la guida del Pd alla Camera. Prima dalemiano e poi bersaniano, stimato da Enrico Letta (che vedrebbe bene anche una figura di esperienza), bene accetto da Matteo Renzi, Speranza ha dato buona prova come segretario regionale lucano. Al momento è lui a raccogliere i maggiori consensi. L’assemblea fu eletta con le primarie del 2009 e sulla carta i rapporti di forza sono quelli di allora: Bersani 53 per cento, Franceschini 34, Marino 12. Ma gli equilibri interni sono molto cambiati e tutto può succedere, visto che tanti guardano ormai a Matteo Renzi. I suoi nemici sono preoccupati per l’attivismo del sindaco, che incontra Barroso e lavora al nuovo libro, «Oltre la rottamazione». Massimo D’Alema, rottamato illustre, nega di essere in guerra con Bersani, dice che voterà  con disciplina un nome condiviso e si toglie una bella pietruzza dalla scarpa: «L’unica vittoria di Renzi è che io non sono più in Parlamento».


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