Privatizzare i tribunali La soluzione britannica alla riforma della giustizia

by Sergio Segio | 29 Maggio 2013 7:58

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LONDRA — Questa volta non si esagera se si scomoda un termine come rivoluzione per raccontare che cosa rischia la giustizia inglese. Persino il Times, raramente propenso a gonfiare le notizie, parla di un piano che potrebbe cancellare un sistema nato con la Magna Charta. Soffiano venti di liberismo un po’ selvaggio sui palazzi dei tribunali e delle corti di Sua Maestà .
Per risparmiare due miliardi e mezzo di sterline e obbedire alla politica dei tagli che il Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha imposto allo scopo di mettere in ordine i conti pubblici, circola l’idea di trasformare il complesso insieme di servizi dell’amministrazione giudiziaria in un’impresa commerciale da affidare ai privati. Entro un paio di settimane il ministro Chris Grayling si ritroverà  sul tavolo un piano con i dettagli richiesti agli esperti. Questione delicatissima. E i magistrati, pur esclusi dallo schema di riforma, si guardano attoniti e si chiedono: che ne sarà  della nostra indipendenza?
Ma lui, il «guardasigilli» del Regno Unito, un conservatore con laurea in storia dell’arte a Cambridge e con in testa alcuni concetti di eguaglianza molto particolari visto che un paio di anni fa sostenne il diritto degli alberghi e dei bed&breakfast di rifiutare la camera alle coppie omosessuali, pare intenzionato, così sostiene il Times, ad andare avanti. Sindrome da risparmio. Sindrome da privatizzazione. Sindrome da liberalizzazione a tutti i costi. Sindrome da primo della classe. Che cosa sia se lo chiedono in tanti. Fatto sta che Chris Grayling si è conquistato il titolo di apertura del nobile quotidiano londinese con la sua medicina per guarire il ministero dalla malattia degli sprechi. Gli hanno chiesto di potare i rami secchi per 2,5 miliardi e pensa di raggranellarne già  un miliardo ridisegnando l’amministrazione della giustizia. Provocazione o lungimiranza?
Tre sono i pilastri del progetto. Il primo è che tutti i tribunali e le corti (oggi ospitati in 650 sedi) dovrebbero trasferirsi in palazzi di proprietà  privata, lo Stato pagherebbe un affitto alle banche, alle assicurazioni, agli hedge fund, ai tycoon che hanno in portafoglio l’immobile ma, liberando e vendendo i vecchi palazzi, la somma ne risulterebbe positiva. Il secondo è che i servizi di segreteria e di cancelleria di supporto ai giudici (22 mila dipendenti) potrebbero essere appaltati all’esterno, sempre a privati. Infine, e su questo terzo punto occorre dire che l’immaginazione ha un che di suggestivo, l’imposizione di una «tassa» nelle cause civili e commerciali che hanno per oggetto patrimoni oltre un certo valore. In altre parole se Roman Abramovich o Bernie Ecclestone vanno in tribunale per risolvere qualche lite con rivali o parenti sarebbero costretti a versare un discreto obolo aggiuntivo. Un modo per costringerli a riflettere sul ricorso alle carte bollate. E un modo per finanziare indirettamente la giustizia penale, infatti la «tassa» sarebbe girata per rendere più veloci i processi contro la criminalità  organizzata.
È una rivoluzione controversa e fantasiosa. Scontate le perplessità  e le critiche feroci. «Il rischio è che in nome dell’efficienza economica raggiunta con la privatizzazione si sacrifichi l’indipendente amministrazione della giustizia», spiega al Times l’avvocato per i diritti umani lord Pannick. «Tranquilli non intendiamo una privatizzazione generalizzata della giustizia», hanno rassicurato dal ministero. Ci mancherebbe.
Il dibattito è aperto: siamo sicuri che sia questa la strada più giusta per tagliare la spesa pubblica? C’è chi sottolinea un particolare: lo Stato ha già  appaltato ai privati i servizi di traduzione e interpretariato nelle corti e nei tribunali. Il risultato è stato un mezzo fallimento: 6.417 ricorsi per difetto di professionalità  e 650 processi bloccati in un anno. A volte le privatizzazioni funzionano male. Ma il ministro Grayling vuole comunque procedere con la sua rivoluzione.
Fabio Cavalera

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