Prodi e la tessera «dimenticata»

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BOLOGNA — «Le ho qui da tempo le tessere 2013 di Romano Prodi e della moglie Flavia. No, non è ancora venuto nessuno a ritirarle. Sento dire che il Professore starebbe meditando di non rinnovare l’iscrizione al Pd: condivido pienamente, dopo l’agguato che gli hanno tirato sul Quirinale…». Non è lo sfogo di un militante qualsiasi. E non è nemmeno uno sfogo. È il ragionamento, tra rabbia, amarezza e un insopportabile senso di impotenza, della coordinatrice del circolo dei Democratici dove è iscritta metà  della famiglia Prodi (l’ex premier, la moglie Flavia, il figlio Giorgio).
Il circolo è intitolato a Joyce Salvadori Lussu, scrittrice, poetessa, ma soprattutto partigiana nelle Brigate Giustizia e Libertà , medaglia d’argento al valor militare. «Donna coraggiosa, non come quei 101 che hanno tramato nell’ombra…» ringhiano, stracciando tessere, restituendole, qualcuno bruciandole, tanti iscritti, e non necessariamente prodiani (commento del segretario bolognese, Raffaele Donini, non l’ultimo arrivato: «Prodi non rinnova? Ha subito una vigliaccata»).
È un piccolo circolo in zona Santo Stefano, con vista sulle Due Torri, quello guidato da Cecilia Alessandrini, 34 anni, insegnante con laurea in Lettere classiche, approdata al Pd dall’arcipelago no global e, suo malgrado, finita nel marasma autolesionistico di ciò che resta di un partito. Gli iscritti sono poco più di un’ottantina («Qui non siamo alla Bolognina, questa è una delle poche zone in cui vince la destra…»), ma il solo fatto di annoverare tra i tesserati l’uomo dell’Ulivo, il fondatore del Pd, lo rende inevitabilmente speciale.
Romano Prodi, mentre Cecilia parla, è a qualche migliaio di chilometri, a Bruxelles per una riunione sul Mali. E gioca alla sfinge con chi gli chiede se davvero intende chiudere con il Pd. «Lasciate che i giornali scrivano, sono indiscrezioni…» saetta con sguardo ironico, ben attento però a non smentire, perfettamente consapevole che il tiramolla (rinnova? non rinnova?) è quanto di più esiziale, in termini di immagine, ma non solo, per un partito lanciato come Wile Coyote in una folle corsa verso il baratro. Sarà  molto difficile che il due volte ex premier rientri sotto quel tetto che per tre volte (due a Palazzo Chigi, una in vista del Quirinale) lo ha silurato. Sarebbe semplicistico leggere la cosa solo con le lenti della vendetta. Anche se, come scriveva l’indimenticabile Edmondo Berselli, «l’uomo gronda bonomia da tutti gli artigli», e di sicuro di quei 101 difficilmente dimenticherà  volti e nomi, oggi il problema, più che Prodi, è il Pd.
È da tempo che il Professore fatica a vedere in casa dei Democratici qualcosa che assomigli vagamente al progetto del 2008. Non si contano le volte che si è tappato la bocca per paura di danneggiare il partito. E quando proprio è stato costretto a esporsi, lo ha sempre fatto in chiave il più possibile costruttiva. Fino a qualche mese fa, perlomeno. Poi qualcosa ha cominciato a rompersi. Nel giugno scorso, parlando con il Corriere, si sfogò: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Il resto è storia recente. Come tanti prodiani vanno dicendo, «non è Prodi a uscire dal Pd: è il Pd che è uscito da lui». In tutto ciò, la questione della tessera, anche se altamente simbolica, diventa quasi un dettaglio.
Toccherà  alla segretaria del circolo, Cecilia, chiamare come ogni anno casa Prodi per avvertire che la nuova tessera 2013 è arrivata: «A volte — racconta — l’ho portata personalmente nell’abitazione del Professore. Altre volte è venuto lui in sede. Stavolta vedremo come finirà …». Sempre che non sia già  finita.
Francesco Alberti


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