Riforme e competitività bloccate La Francia ricade in recessione
PARIGI — «Il peggio è passato», è da mesi il mantra ripetuto anche ieri da Franà§ois Hollande, che non vuole mostrarsi turbato dai nuovi dati dell’Insee, l’Istituto di statistica: la Francia è ufficialmente in recessione, il suo Pil si è contratto dello 0,1 per cento durante due trimestri consecutivi (l’ultimo del 2012 e il primo del 2013), il potere d’acquisto è crollato dello 0,9% (più del previsto), ma il presidente della Repubblica non accetta che il suo Paese venga considerato il malato d’Europa.
«La situazione è grave, a fine 2013 la crescita sarà stata pari a zero in Francia — ha concesso Hollande —, ma inferiore nel resto dell’Unione. Tutti gli Stati membri sono coinvolti», e la Germania è cresciuta solo dello 0,1% nel primo trimestre dopo avere perso lo 0,7% del Pil alla fine del 2012: come a dire noi siamo in recessione, ma la Germania tanto decantata si salva per miracolo.
Non è ancora venuto il momento dell’autocritica per Hollande, che oggi pomeriggio affronterà la seconda grande conferenza stampa della sua presidenza, a un anno dall’insediamento. La posizione ufficiale è che le ragioni della recessione sono globali (la crisi cominciata negli Usa e poi diventata crisi dell’euro) e strutturali (20 anni di mancate riforme in Francia): giudicatemi alla fine del quinquennio, insiste Hollande. Ma l’opposizione non è così generosa.
L’ex premier Franà§ois Fillon — già candidato alle lontane presidenziali del 2017 — sostiene che le riforme intraprese dal suo governo «erano forse tardive e insufficienti, ma andavano nella buona direzione. Il governo di Hollande le ha cancellate tutte e non ha preso alcuna iniziativa in materia di competitività . Per questo la Francia è entrata in recessione».
La Francia è un Paese bloccato, la disoccupazione all’11%, l’economia stenta nonostante Parigi riesca a finanziare il suo debito pubblico a tassi bassissimi, anzi qualche volta persino negativi come la Germania: gli investitori sono pronti a pagare pur di prestare soldi alla Francia. «Segno che i nostri fondamentali sono solidi», ripete il ministro delle Finanze Pierre Moscovici. Altri pensano invece che si tratti semplicemente di una rendita di posizione: la seconda economia dell’Unione è troppo grande per fallire, la Germania non lo permetterebbe mai. Ma questo non significa che la Francia non debba cambiare passo, e in fretta.
Appena usciti i dati poco incoraggianti sulla recessione francese, Hollande ieri ha affrontato l’incontro previsto con la Commissione europea. Ufficialmente per preparare il Consiglio del 22 maggio e rilanciare l’Unione bancaria, ma di fatto per rassicurare Bruxelles.
Questo è il patto: due anni di tempo in più concessi alla Francia per riportare il deficit al 3%, in cambio di riforme strutturali su tre campi, ovvero 1) pensioni; 2) liberalizzazione del mercato del lavoro; 3) concorrenza nei servizi pubblici e trasporti (era una raccomandazione della commissione Attali, già anni fa, ma alla prima rivolta dei taxi tutto rientrò).
Hollande vuole «continuare con la serietà di bilancio, ma convincendo la Germania ad affiancare misure per la crescita». Una possibile alleanza — in funzione antitedesca — con l’Italia del nuovo presidente del Consiglio Enrico Letta è una tentazione che viene ovviamente respinta in via ufficiale: «Sarebbe contro l’interesse dell’Europa e di Italia e Francia». Vedremo nei fatti.
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