Sigarette elettroniche, ecco la nuova tassa

by Sergio Segio | 27 Maggio 2013 5:23

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ROMA — Ci hanno provato a novembre, nel Decreto Sviluppo, poi a dicembre, nella legge di Stabilità , e ancora pochi giorni fa, con un emendamento al decreto sui debiti della Pubblica Amministrazione. Il tentativo di tassare le sigarette elettroniche, finora, non è riuscito. Ma è questione di giorni, perché le Finanze spingono a più non posso. Le vendite delle «e-cig» raddoppiano, il gettito delle imposte sulle sigarette sta crollando.
Secondo i Monopoli nel 2013 lo Stato incasserà  700 milioni di euro di meno. E il buco, che rischia di ampliarsi in futuro, va chiuso prima che diventi una voragine. Fosse facile. La tecnologia della sigaretta elettronica sta ponendo infatti interrogativi, problemi e difficoltà  enormi all’amministrazione fiscale che, assetata di tasse, la sta inseguendo ormai da mesi. Anche se secondo i più ottimisti, immaginando un’imposta pesantissima, si potrebbero incassare una cinquantina di milioni di euro. Ma solo per il momento.
Il business è davvero molto lucrativo. Le vendite, come detto, raddoppiano di anno in anno. In Cina, dove sono state brevettate e dove vengono prodotte, una buona sigaretta costa al grossista, Iva e dazi compresi, circa 25 euro, viene ceduta ai dettaglianti a 35 e da questi, a 65 euro al cliente finale. Un ricarico del 100%. E questo spiega come mai nelle nostre città , così come nei centri commerciali, in piena crisi, gli unici negozi nuovi che aprono sono quelli che vendono sigarette elettroniche. In Italia sarebbero ormai oltre duemila e continuano a spuntare come funghi, nella più totale assenza di una normativa. E della relativa tassazione.
Il vero nodo è la definizione della sigaretta elettronica. È un prodotto da fumo, e quindi fa male? È un dispositivo medico, che serve per smettere o come alternativa al tabacco? Oppure non è niente di tutto questo? La questione è dirimente: se sono prodotti da fumo si applicano le regole delle sigarette, cioè la vendita esclusiva in tabaccheria, i divieti pubblicitari, gli obblighi informativi. E, naturalmente, la tassa dei tabacchi, cioè l’accisa. Se ci si azzarda a immaginarle come dispositivi medici, dovrebbero essere vendute nelle farmacie.
Nonostante il pressing delle Finanze, al ministero della Salute prendono tempo, ci stanno ragionando da mesi, e non sono ancora arrivati a una conclusione. Né loro, per il vero, né tutti quelli che nel mondo, a vario titolo, si stanno occupando della questione. In Europa l’unico Paese dove il mercato della e-cig è regolamentato è la Gran Bretagna, e per il resto, anche nel mercato unico, ognuno fa come gli pare. Mentre il Parlamento Europeo è inchiodato da anni nella discussione di una nuova direttiva sul tabacco e sui prodotti assimilabili.
La Salute finora ha solo stabilito il divieto di vendita ai minori. Avvicinandole pericolosamente ai prodotti da fumo. Anche se non c’è combustione, se emettono vapore e non fumo, e non contengono tabacco. Semmai alcuni liquidi che alimentano la sigaretta elettronica, che grazie a un atomizzatore si trasformano in vapore acqueo, possono contenere nicotina. La quale non si estrae solo dal tabacco e, di per sé, non è tassata, altrimenti dovrebbero esserlo anche i chewing gum o i cerotti che si vendono in farmacia.
Forzando un po’ le cose, si potrebbe arrivare a determinare il quantitativo equivalente di tabacco che servirebbe per produrre la nicotina contenuta in una boccetta di liquido. E poi tassarlo con l’accisa. Ma non finirebbe lì. Perché in quel caso, se si volesse consentirne la vendita in esercizi diversi dalle tabaccherie, i negozianti dovrebbero registrarsi coi Monopoli, aprire un conto e un deposito fiscale. Insomma, tanta di quella burocrazia che forse scoraggerebbe una delle poche attività  che oggi creano occupazione.
Anche per questo, soprattutto nel Pd, alcuni preferirebbero un’imposta di consumo invece dell’accisa, e dunque un regime fiscale più semplice e leggero, soluzione che sarebbe assai gradita ai produttori e ai rivenditori. Mentre le multinazionali del tabacco, ancora non si è capito perché, suggeriscono di tassare gli atomizzatori, cioè i «filtri». Tutte e due le ipotesi, però, non piacciono alle Finanze, perché, dicono, garantirebbero un gettito misero.
Così, mentre all’Economia si scervellano su quale tassa applicare, e alla Salute discutono su che cosa sia la sigaretta elettronica, nel mercato ha cominciato a serpeggiare un po’ di panico. Tanti «svapatori», questo il neologismo con cui si chiamano fra loro, si sono preoccupati e stanno facendo incetta di liquidi nei negozi. Molti altri aspettano l’evoluzione della vicenda, tutt’altro che spaventati. Sigarette, liquidi, cartucce e accessori si comprano tranquillamente online in centinaia di paesi del mondo. Un duty free e un produttore che spedisca pacchi anonimi si trova sempre. La tassa, dicono, si può sempre evitare. A meno che alle Finanze non decidano di tassare il vapore.
Mario Sensini

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