Uno smartphone per l’ispettore
A New York, per esempio. Quattrocento uomini del Ny Police Department sono stati forniti di un cellulare Android di ultima generazione, modificato. Non può ricevere né fare chiamate, ma con un’applicazione dà accesso a qualsiasi tipo di informazione su luoghi, palazzi, persone, ricercati. L’agente Tom Donaldson al
New York Times la racconta così. «Mi trovo davanti a una palazzina di 14 piani ad Harlem per un controllo. Digito l’indirizzo sul telefonino e mi compaiono tutti i nomi dei residenti con precedenti penali e quelli con un porto d’armi regolare, la lista degli appartamenti teatro di incidenti domestici, le foto di chi è stato arrestato. In tempo reale ho anche la mappa delle telecamere di sorveglianza puntate sul palazzo». Il lavoro di due giorni, tra scartoffie e confronto dei profili, in poco più di dieci secondi. Altra sperimentazione a San Francisco. Qui capita spesso di vedere agenti che fotografano i “sederi” delle automobili: sui loro telefonini hanno un’applicazione che, attraverso la fotocamera, scansiona la targa e si collega alla centrale, ricavando tutte le informazioni sul veicolo: se l’auto è rubata, a chi appartiene, se l’assicurazione è scaduta.
«Tutto questo è solo un assaggio di cosa si potrà fare con la realtà aumentata », dice Gerardo Costabile, direttore Forensic Technology di Ernst & Young per l’Italia. Realtà aumentata, dunque. Con un po’ di approssimazione, la si può definire arricchimento della percezione umana attraverso un dispositivo elettronico. Di fatto, un sesto senso digitale. Qualcosa c’è già nelle città più smart, dove i turisti ricevono notizie su un monumento inquadrandolo. Ecco, è lì, in quella direzione, che bisogna guardare per immaginare come sarà utilizzato lo smartphone tra dieci anni dalle polizie. «Riprendendo una folla — spiega Costabile — i dispositivi saranno in grado di identificare i volti, confrontandoli via web con quelli archiviati nei database. Chi fa ordine pubblico negli stadi, ad esempio, con il suo cellulare potrà individuare i soggetti con precedenti per violenza, e ricevere la scheda con età , residenza, occupazione. Un po’ come faceva Robocop, il superpoliziotto d’acciaio e microchip, nel film». Algoritmi sempre più sofisticati riescono già oggi a simulare il processo di invecchiamento di una persona, permettendo a telecamere e telefonini il riconoscimento di un ricercato sfruttando una foto vecchia di vent’anni. Del resto, se il prossimo iPhone monterà , come sembra, un lettore ottico per le impronte digitali, difficile non intravedere l’utilità di una tecnologia del genere messa nelle mani di un poliziotto.
Un po’ più sfumato, invece, è lo scenario immaginato da alcuni esperti della Deloitte, una delle Big Four, le quattro aziende di revisione e consulenza più influenti del mondo (tra queste c’è anche Ernst & Young). Rifacendosi idealmente al Panopticon, il carcere perfetto dove un unico guardiano controllava tutti i detenuti in qualunque momento, progettato nel 1791 dal filosofo Jeremy Bentham, hanno ipotizzato qualcosa di completamente nuovo. Nel dossier, intitolato non a caso Beyond the Bars,
oltre le sbarre, spiegano come sia possibile, grazie agli smartphone, ai modelli di analisi geospaziale e agli algoritmi di simulazione del comportamento umano, monitorare i detenuti ai domiciliari. Creando di fatto un sistema carcerario virtuale, che costa la metà di quello reale e permette di avere il doppio dei detenuti.
Inquietante? Sì secondo Evgeny Morozov, sociologo e giornalista bielorusso, sempre diffidente verso il facile entusiasmo dei positivisti della Rete, «Le tecnologie intelligenti non sono sempre rivoluzionare — dice — a volte servono a preservare lo status quo». Come a dire, occhio, la mania del controllo a distanza può sfuggire di mano. «Di sicuro — ragiona Rosanna Colonna, primo dirigente della Polizia di Stato — al legislatore spetta l’oneroso compito di segnare il confine tra la crescente esigenza di pubblica sicurezza e il diritto primario dell’individuo a tutelare la propria privacy».
Ma intanto lo sviluppo degli smartphone avanza. Tra qualche anno, per dirne un’altra, sui comuni cellulari sarà installato un sensore che capta odori e tracce chimiche, le elabora e le registra. Utilissimo per l’investigatore che sulla scena del crimine ha bisogno di capire se ci sono residui di polvere da sparo. E quanto tempo passerà prima che qualcuno inventi un’applicazione per far telecomandare agli agenti piccoli droni dotati di telecamere?
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