Quirico telefona a casa «Sono vivo, sto bene»

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Domenico Quirico è vivo. Lo ha svelato ieri alle sette di sera in un tweet di gioia Mario Calabresi, direttore della Stampa. Pochi minuti dopo un comunicato ufficiale della Farnesina confermava: l’inviato del quotidiano torinese ha avuto un breve contatto telefonico con la moglie Giulietta.
Era da due mesi che non si avevano più notizie di questo giornalista esperto di conflitti internazionali che era tornato in Siria per la quarta volta per raccontare i drammi della guerra civile.
Per la precisione: Quirico, 62 anni, astigiano, era sparito dai radar da cinquantotto giorni. Non è un dettaglio. Quando la vita è appesa al filo dell’incertezza il tempo si misura in giorni. In ore. In minuti. E adesso che la sua voce è risuonata nelle orecchie dei suoi cari tutti invitano a una grande prudenza. La Farnesina. Mario Calabresi. Il ministro Emma Bonino in persona.
Domenico Quirico è ancora nelle mani dei rapitori. «La trattativa per la liberazione è in fase avanzata, per questo il momento è delicatissimo», avvertono fonti diplomatiche, rinforzate dall’ansia del direttore della Stampa: «Sta bene e siamo felicissimi, ma ora si deve stare attenti. Faremo di tutto per riportarlo indietro».
Domenico Quirico nelle mani dei rapitori ci era finito quasi subito, tre giorni dopo aver varcato il confine con il Libano per dirigersi nella zona di Homs. Era il 6 aprile scorso quando il giornalista lasciava Beirut per raggiungere il confine siriano. L’8 aprile aveva mandato messaggi e telefonato alla moglie. Il 9 aprile ancora un sms, questa volta a un collega. Poi il silenzio. Il buio nella vita di Giulietta, di Metella ed Eleonora, le figlie.
Il buio. Ma nessuno ha mai smesso di sperare. Proprio le due ragazze di Domenico nei giorni scorsi avevano registrato un video-appello ai rapitori sul sito della Stampa e lo avevano fatto tradurre in inglese, francese, arabo. Forse con la sensazione di lasciare una bottiglia nell’oceano.
Ma la bottiglia questa volta è arrivata a destinazione. Ed è stata proprio Metella a confermare con la voce commossa: «Papà è vivo e sta bene. È tutto quello che sappiamo». Sono forti le donne di Domenico. Sono abituate ai suoi viaggi nelle zone più impervie e pericolose della terra. Sudan, Darfur, Ruanda, Congo, Somalia, Mali, il Nordafrica per tutte le vicende della Primavera araba.
Di più: non è la prima volta che l’inviato di guerra della Stampa finisce nelle mani dei rapitori. Era già successo in Libia nell’agosto del 2011. Due giorni di prigionia. Quirico era stato rapito insieme con due colleghi del Corriere e uno di Avvenire mentre cercavano di raggiungere Tripoli. Il loro autista era stato ucciso, ma per loro la libertà era arrivata dopo 48 ore.
Proprio come era successo al giornalista della Rai Amedeo Ricucci, alla giornalista italo-siriana Susan Dabbous e ai freelance Elio Colavolpe e Andrea Vignali. Erano stati rapiti in Siria il 4 aprile e liberati il 13. Anche per questo l’ansia per Domenico Quirico aveva continuato a salire.
Fino a quando le due figlie hanno preso coraggio. Quel video-appello: «Siamo le figlie di Domenico Quirico, nostro padre è nel vostro Paese per raccontare all’Italia il dramma della Siria e del popolo siriano…», chissà se davvero è stato questo appello a smuovere le acque.
Il presidente siriano Bashar Assad in un’intervista ci aveva tenuto a prendere le distanze, a far sapere di non avere notizie: «Quando disponiamo di informazioni su qualunque giornalista entrato illegalmente le trasmettiamo al Paese di riferimento».
Ieri pomeriggio la telefonata alla moglie. Breve. Intensa. Fondamentale: Domenico è vivo.


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