Il «caso Snowden» spacca l’America

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NEW YORK — Eroe o canaglia? Se Bradley Manning, il soldato Usa che fornì 700 mila documenti segreti alla Wikileaks di Julian Assange (processato proprio in questi giorni da una corte marziale in Maryland), di difensori non ne ha mai avuti molti, Edward Snowden scuote assai di più la coscienza dell’America: l’uomo che ha fornito al Washington Post e al britannico Guardian documenti sul funzionamento dei meccanismi di sorveglianza su Internet, ha commesso di certo reati gravi rivelando informazioni «classificate» sulle quali era tenuto a mantenere il segreto. Ma, così facendo, ha contribuito a sollevare dubbi sull’estensione e la capillarità degli strumenti di spionaggio usati dalla Nsa, l’agenzia federale di «intelligence».
Non c’è dubbio che il governo Usa farà il possibile per ottenere l’estradizione del 29enne contrattista della Booz Allen Hamilton, per poi condannarlo a una pena pesante. Ma il caso imbarazza Obama, il presidente della trasparenza, e le stesse imprese digitali della Silicon Valley che scoprono di aver alimentato con una certa leggerezza le tecnologie del Grande Fratello, trovandosi poi obbligate a collaborare strettamente con gli apparati federali di sicurezza. Ma imbarazza parecchio anche la stampa, che è stata poco reattiva: non ha indagato a fondo sull’ampliamento della sorveglianza soprattutto per la paura di interferire nella lotta al terrorismo. E, ora che sta provando a recuperare terreno, critica a fondo l’Amministrazione Obama, ma è spesso costretta correggere in corsa il tiro dei suoi attacchi e delle sue denunce: è toccato nei giorni scorsi al New York Times e ieri al Washington Post che ha dovuto rettificare le affermazioni sull’accesso diretto della Nsa ai server di imprese come Google e Facebook. Certo, che le nuove tecnologie digitali offrissero tanto alle imprese commerciali quanto agli strateghi delle campagne elettorali e, quindi, anche ai servizi segreti, sistemi più penetranti di monitoraggio, lo sapevano tutti. E Snow- den non è apparso particolarmente convincente quando, per spiegare da Hong Kong il suo gesto, ha detto che i programmi federali di spionaggio non sono a prova di abuso: «Ogni analista come me, se vuole, può mettere qualunque cittadino nel mirino. Ovunque. Dalla mia scrivania potevo spiare anche il presidente, disponendo della sua email personale». Tutto probabilmente vero, ma chi lo fa commette un reato del quale deve poi rispondere. E tuttavia le rivelazioni del giovane analista hanno dato una scossa alla stampa nel giorno in cui viene alla luce di un altro scandalo denunciato dalla rete televisiva Cbs: storie di assalti sessuali e prostituzione al Dipartimento di Stato col coinvolgimento degli uomini che hanno scortato Hillary Clinton in giro per il mondo e anche di almeno un ambasciatore Usa, responsabile di un’importante sede diplomatica. Tutto in un rapporto dell’Ispettorato generale del ministero degli Esteri, poi misteriosamente privato delle parti più imbarazzanti.
E se i principali esponenti democratici e repubblicani continuano a considerare pienamente legittimi i meccanismi di sorveglianza creati dai servizi di «intelligence» nell’era di Bush come in quella di Obama, le associazioni per i diritti civili e le ali libertarie di destra e sinistra offrono qualche copertura a Snowden. E chiedono che il suo gesto serva ad avviare una riflessione sulla necessità di rivedere il Patriot Act che, con la sua logica di emergenza permanente, ha aperto la strada a sistemi di spionaggio dei cittadini divenuti troppo estesi e soffocanti: a sinistra Snowden è difeso dal senatore indipendente Sanders oltre che da Daniel Ellsberg, l’uomo che 45 anni fa dette alla stampa i segretissimi Pentagon Papers. Ellsberg lo considera addirittura un eroe, al pari di Manning. Ma anche i senatori democratici Ron Wyden e Mark Udall, pur non giustificando la violazione dell’obbligo di segretezza, auspicano che il caso porti ad un ripensamento della strategia di spionaggio. In campo repubblicano quasi tutti, a partire dal deputato di New York, Peter King, vogliono vedere Snow- den in manette. Anche la Nsa non fa mistero di preparare un’incriminazione pesante e gli esperti di sicurezza sono abbastanza concordi nel giudicare gravi i suoi reati. E rifiutano il parallelo con Ellsberg: quest’ultimo rivelò che l’amministrazione Johnson aveva mentito al suo popolo sul Vietnam, mentre Snowden denuncia meccanismi leciti, legali, autorizzati dal Congresso ma che, secondo lui, potrebbero degenerare in oppressione e tirannia.
E tuttavia anche a destra ci sono senatori come Rand Paul e Mike Lee che, invece, chiedono di ascoltare la sua denuncia. «Niente di nuovo — commenta l’ex senatore conservatore Sununu —: anche ai tempi del Patriot Act ci fu un tentativo congiunto di ostruzionismo dell’estrema destra e dell’estrema sinistra».
Massimo Gaggi


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