«Tra Iran e Usa ora può ripartire il gioco tattico»

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Ma Rohani è un ayatollah e non detiene il potere, che rimane nelle mani del leader supremo Khamenei. Con lui, i rapporti tra i nostri Paesi potrebbero migliorare, ma più nella forma che nella sostanza. Nei prossimi mesi potremmo assistere a un reciproco gioco di posizione: l’Iran potrebbe dire di essere disposto a negoziare se noi riducessimo o togliessimo le sanzioni, e gli Stati Uniti potrebbero rispondere che lo farebbero solo in caso di accordo».
Il consulente della Cia e dell’Fbi Marvin Cetron, autore del Rapporto 2000 sul terrorismo, ritiene che se non altro per questione di immagine Teheran e Washington dovranno dimostrare buona volontà. «Entrambe hanno interesse a promuovere un clima di distensione. Ma io penso che al momento la crisi della Siria abbia la precedenza sul programma atomico iraniano. Mi risulta che dietro le quinte gli Stati Uniti siano in contatto con Damasco, con l’Iran e con Israele per impedire che la guerra civile siriana porti a una nuova guerra mediorientale. Direttamente o indirettamente, Teheran e Washington si parlano».
Di che contatti si tratta?
«Gli Stati Uniti hanno deciso di armare l’opposizione siriana, ma in modo limitato. Ma Teheran e Washington non vogliono intervenire nella guerra civile con alcun genere di truppe. Tanto meno vogliono che essa minacci Israele dalle alture del Golan. Un nostro emissario sta partendo per la regione».
Ma Teheran non predica la distruzione di Israele?
«Solo a parole. Nei fatti l’Iran sa che, se fosse minacciato, Israele lo attaccherebbe. E ha la stessa preoccupazione degli Stati Uniti: di impedire che se Assad cadrà, come io ritengo possibile, gli subentri un estremista islamico che aggredisca Israele. L’Iran è in enormi difficoltà economiche e finanziarie, la destabilizzazione del Medio Oriente e del Golfo Persico le aggraverebbe».
Lei crede che questo dialogo dietro le quinte possa ampliarsi?
«Mi auguro di sì. Nelle crisi più pericolose, quella della guerra in Iraq per esempio, Teheran e Washington negoziarono. Non ottennero grandi risultati, ma evitarono il peggio. Non bisogna tuttavia coltivare troppe aspettative. In passato l’Iran ebbe un altro presidente moderato, Khatami, e i nostri rapporti migliorarono, ma fu un miglioramento temporaneo».
Perché lei parla di un gioco di posizione?
«Perché sono convinto che per ora l’Iran non intenda rinunciare al nucleare militare. Gli mancano ancora un anno e mezzo, al massimo due per arrivarci. Quando quel momento sarà più vicino allora si negozierà seriamente o si andrà a uno scontro. C’è quindi un po’ di tempo, si può sperare che Teheran non regga alle sanzioni o che cambi idea».
Il presidente Obama che intende fare?
«Obama cerca una soluzione diplomatica, politica di questa crisi, non una soluzione militare, si aspetta qualche segnale da Teheran. L’ideale sarebbe una moratoria, ma mi sembra molto improbabile. Forse ci saranno piccoli passi in avanti, ma non prevedo svolte decisive».
Israele colpirà l’Iran prima che si procuri l’atomica?
«Non saprei. Attualmente non può farlo perché non dispone delle nostre bombe di massima profondità, e senza di esse non riuscirebbe a distruggere gli impianti iraniani. Noi abbiamo più di 300 mila di queste bombe ma non gliene abbiamo data nessuna. Potremmo dargliele se non ci fossero più alternative, ma non è certo. Quello che mi pare certo è che non saremo noi ad attaccare l’Iran».
Ennio Caretto


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