Obama a Berlino 50 anni dopo Kennedy «Tagliamo di un terzo le armi nucleari»

Loading

DAL NOSTRO INVIATOBERLINO — «Riduciamo di un altro 30 per cento i nostri arsenali nucleari!». Barack Obama sfrutta l’opportunità offertagli da Angela Merkel di parlare davanti alla porta di Brandeburgo — un luogo simbolo della battaglia per la libertà, ma anche dei conflitti e delle tragedie del Ventesimo secolo — per proporre ai russi un altro «round» di negoziati per il disarmo strategico.

C’era grande attesa nella capitale tedesca: il presidente americano che parla esattamente 50 anni dopo lo storico discorso nel quale John Kennedy si dichiarò berlinese nella città stretta dalla morsa sovietica e un quarto di secolo dopo la caduta del Muro. Ma il clima, l’entusiasmo non è più quello di allora. Né oggi si respira l’aria di una storica vigilia come nel 1987 quando, sempre qui, Ronald Reagan chiese al leader sovietico Gorbaciov di abbattere quella barriera che spezzava in due la città.

Il primo a esserne consapevole è lo stesso presidente americano. Se Kennedy fu accolto da una folla enorme ed entusiasta, e se lo stesso Obama, cinque anni fa, venendo qui da candidato democratico alla presidenza, fu osannato da duecentomila berlinesi sotto la Colonna della Vittoria, ora il leader democratico parla davanti a seimila persone rigorosamente selezionate (soprattutto studenti e dipendenti pubblici) per evitare ogni tipo di contestazione.

Il leader dell’Occidente vola alto. Comincia facendo l’inventario delle conquiste rese possibili dalle vittorie conseguite nella battaglia per le libertà, la tolleranza, la creazione di una società aperta: dal consolidamento della democrazia al riconoscimento dei diritti dei gay, dal rispetto per tutte le religioni all’accoglienza degli immigrati e dei profughi dei conflitti del Terzo mondo, dove più difficile è la battaglia per la difesa dei diritti umani.

Ma Obama sa anche di essere finito nel mirino di molti progressisti, in America come in Europa, per l’uso che molti considerano troppo disinvolto dei droni-killer della Cia e per le rivelazioni sui programmi di spionaggio della Nsa, l’agenzia federale di «intelligence», che, si scopre, sono molto più estesi e penetranti di quanto immaginato. E così, prima di guardare avanti e di proporre nuovi negoziati strategici e una nuova iniziativa planetaria per salvare l’ambiente — un «global compact» per arrestare i mutamenti climatici — il presidente invita i berlinesi e l’opinione pubblica europea a non abbassare la guardia. A non considerare quello che si è conquistato come acquisito per sempre.

Promettendo che, a sua volta, si impegnerà ad evitare la corrosione del tessuto democratico in un’America troppo a lungo sprofondata in un clima di guerra permanente. E’ la versione internazionale del discorso sull’uscita dalla mentalità da Paese immerso in un conflitto perpetuo pronunciato un mese fa da Obama alla National Defense University. E fa una certa sensazione sentire il leader del mondo libero che, davanti alla Porta di Brandeburgo, promette per l’ennesima volta la chiusura del carcere speciale di Guantanamo, dopo aver spiegato in una tesa conferenza stampa nella sede della Cancelleria tedesca le difficoltà che ha fin qui incontrato, soprattutto per gli ostacoli frapposti dal Congresso.

Bisogna continuare a combattere per la libertà, ripete con enfasi Obama, ma anche per la pace minacciata dai tanti conflitti e anche dall’esistenza di arsenali che il presidente — come ha ripetuto più volte — vorrebbe vedere gradualmente azzerati. Il passaggio che propone oggi è la riduzione di un terzo delle testate nucleari di lungo raggio rispetto all’ultimo accordo Start che ne prevede il contenimento a 1.550 unità entro il 2018. Washington propone, quindi, di scendere a circa mille armi atomiche strategiche. In più il presidente americano annuncia che chiederà agli alleati della Nato il via libera a negoziare con Mosca anche una riduzione bilanciata delle armi nucleari tattiche schierate dagli Stati Uniti e dalla Russia in Europa. E propone di organizzare entro il 2016 una conferenza mondiale sulla messa in sicurezza del materiale nucleare immagazzinato in molte parti del mondo e che, se non adeguatamente custodito, rischia di cadere nelle mani dei terroristi.

Al G8 di Lough Erne il presidente russo Vladimir Putin era rimasto silenzioso quando Obama, seduto al suo fianco, aveva accennato, conversando con la stampa, alla possibilità di avviare una nuova fase di disarmo nucleare. Un silenzio che era parso ostile e, infatti, ieri Mosca ha subito alzato le barricate: «Non accetteremo alcuna alterazione degli equilibri strategici, quella del deterrente nucleare è una materia delicatissima», hanno replicato immediatamente dal Cremlino i consiglieri di Putin. Non un vero veto, ma i russi chiedono che d’ora in poi ogni ulteriore riduzione degli arsenali sia estesa anche alle altre potenze nucleari: dalla Cina all’India, dalla Francia alla Gran Bretagna.


Related Articles

Cresce a Parigi la sindrome della guerra solo francese

Loading

Mali / SOLITUDINE DELL’ELISEO, MELINA USA, SILENZIO TEDESCO
Cominciano a essere nervosi i francesi. Temono, forse, di essere lasciati soli in quell’operazione Serval iniziata due settimane fa e che, per il momento, combattono in solitario con l’aiuto dell’esercito maliano.

L’asse libico contro Roma: Khalifa Haftar minaccia, Saif Gheddafi attacca

Loading

Libia. Il generale: «Colpirò le navi straniere lungo le nostre coste». L’ex delfino: «Intervento fascista e coloniale».

Il nuovo Mediterraneo che sognava Pio La Torre

Loading

Il 4 aprile di trenta anni fa oltre centomila siciliani, ma anche tantissimi giunti da ogni parte d’Europa, sfilarono per le campagne di Comiso, dentro la città  per dire no alla costruzione di una base militare che avrebbe dovuto accogliere 112 missili Cruise a testata nucleare.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment