Brasile, un milione di indignados

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SALVADOR DE BAHIA — Al decimo giorno di tumulti, quella che all’inizio era solo una sorprendente mobilitazione popolare, ora si è trasformata in un maremoto. E’ l’intero Brasile che scende in strada e sfila, perché semplicemente non ne può più. Della corruzione dei politici, dei trasporti pubblici che versano in condizioni vergognose, degli stipendi dei dipendenti pubblici e privati, delle scuole, degli ospedali, della violenza urbana. Martedì scorso erano stati 250 mila, ma giovedì sera hanno contato almeno 1 milione e 250 mila persone nelle strade e nelle piazze di tutta la nazione: 14 capitali di Stato e in totale 75 città invase dalla gente. A Rio il picco: in 300 mila sciamano, una avenida dopo l’altra, chiedendo un altro futuro. Sono sfilate per lo più pacifiche ma quasi ovunque sfociano in disordini e scontri ad opera di minoranze violente: la polizia risponde con lacrimogeni, spray urticanti, pallottole di gomma. E’ il caos, ma anche un formidabile risveglio delle coscienze, che fa dire agli inglesi: «In Brasile hanno il coraggio di lottare per i propri diritti, a differenza dell’Inghilterra».
Ma dopo le centinaia di feriti dei giorni scorsi, cadono le prime vite, il che costringe il presidente Dilma Rousseff a riunire il gabinetto di crisi del governo. Due i morti. Il primo è Marcos Delefrate, 18 anni: sta sfilando nelle strade di Ribeirao Preto, stato di San Paolo, quando viene investito da un Suv che compie una manovra spericolata per cercare strada tra la folla di manifestanti. La seconda è Cleonice Vieira de Moraes, 54 anni, netturbina: si rifugia negli uffici della prefettura di Belèm per sfuggire ai disordini, ma rimane soffocata dai gas dei lacrimogeni lanciati dalla polizia e muore per una crisi cardiaca. Ci sono anche 80 feriti nel resto del Brasile, di cui 62 solo a Rio de Janeiro dove ci si scontra a lungo con la Força Nacional de Segurança (i corpi paramilitari antisommossa), dalla sede della prefettura fino in centro ad Avenida Rio Branco, fino a sud, a Largo del Machado. Oltre ai feriti, Rio registra la distruzione di un centinaio di semafori, di una trentina di spartitraffico, di 62 fermatedi autobus. A Brasilia la gente prende d’assalto il Palazzo di Itamaraty, sede del ministero degli Esteri, lancia sassi sulla facciata, appicca fuochi: un manifestante rischia di perdere un occhio. A Vitoria, dove marciano in centomila, viene danneggiato il palazzo di Giustizia. Intanto ieri mattina, undicesimo giorno di tumulti, vengono evacuati due ministeri a Brasilia per un allarme bomba.
Le manifestazioni di piazza erano iniziate per l’aumento di 20 centesimi sul prezzo del biglietto dell’autobus all’inizio di giugno, ma la decisione di revocare i rincari due giorni fa ha alimentato le proteste, anziché frenarle: il popolo ha capito di aver in qualche modo intimidito le istituzioni, e prosegue. Spontaneamente esenza essere ispirato dalle forze politiche: nessuno dei principali partiti è in piazza, né ha ancora preso posizioni chiare. E’ la rivoluzione dell’aceto. «Cerco aceto» è uno degli slogan che girano in rete e sui cartelli: con l’aceto si attenuano le conseguenze dei lacrimogeni, tutti lo usano per difendersi. Intanto il Movimento Passe Livre (Paese Libero) annuncia chesospenderà le marce a San Paolo perché troppi movimenti che non c’entrano niente si stanno unendo, movimenti considerati “fascisti”, come quelli contro l’aborto. Le spese per i futuri Mondiali di calcio hanno fatto deflagrare la protesta: si parla di 11 miliardi di euro in totale. Per questo, nonostante il fatto che i calciatori della Seleçao abbiano appoggiato lemanifestazioni, la gente urla anche «Mondiale no grazie», oppure il gettonatissimo «un professore vale molto più di Neymar» oppure «Dilma, non investire sulla Fifa, investi su di me». Ce n’è ancora, per il presidente, in vertiginoso calo di consensi a 15 mesi dalle elezioni presidenziali: «O povo na rua, Dilma a colpa è sua», se il popolo è in strada la colpa è di Dilma.
Dopo il gabinetto di crisi, durato due ore, il presidente non rilascia dichiarazioni. Sul momento filtra solo che tutti gli avvenimenti in programma rimangono in agenda, e il riferimento è alla Confederations Cup. Si è sparsa la voce che la Fifa abbia minacciato di sospendere le partite, e fonti di stampa raccontano anche di un piano per portare la finale fuori dal Brasile. La stessa Fifa sia il governo smentiscono. Però l’allerta rimane e getta ombre sul futuro, persino sul Mondiale 2014: a Salvador, dove oggi si gioca Italia-Brasile, due pullman di funzionari della Fifa sono stati danneggiati, mentre due tifosi dell’Uruguay capitati in mezzo alla marcia sono stati malmenati. C’è preoccupazione anche per la Giornata mondiale della gioventù, che si terrà dal 23 al 29 luglio prossimi a Rio de Janeiro in occasione della visita di Papa Bergoglio.
Si vivono giorni infuocati, e oggi ricorre il quarantacinquesimo anniversario del «venerdì di sangue », la Bloody Sunday brasiliana: il 22 giugno 1968, durante le proteste studentesche contro la dittatura militare, la polizia uccise 28 persone. Vladimir Palmeira, leader di quella rivolta, oggi approva i nuovi tumulti: «Sono felice. Una società che sembrava morta sta partecipando attivamente alle proteste e chiede un futuro migliore. Ora bisogna andare avanti». La rivoluzione dell’aceto è solo all’inizio.


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