Brindisi col prosek per la Croazia, ultima stella Ue

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BRUXELLES — Alla fine, racconta Enrico Letta, lui e gli altri leader europei presenti al vertice hanno brindato con «uno spumante croato». Ed erano in 28, non più in 27, proprio perché la Croazia diventerà da lunedì il ventottesimo membro della Ue. Ma che cosa c’era nei calici levati da Angela Merkel, David Cameron, e tutti gli altri? Quello spumante era magari un prosek, l’odiamato gemello del prosecco italiano? Se è così, qualcuno avrà storto il muso. Perché l’ingresso della Croazia nell’Unione (non nell’euro, per ora) è marcato da una richiesta di Bruxelles: da lunedì dovrà rinunciare alla denominazione prescelta per il suo «prosek», non potrà più venderlo sotto questo nome perché troppo simile a ciò che si beve oltre la frontiera. Si vuole evitare che i consumatori sbaglino brindisi, e magari aprano troppo il portafogli. Anche se i due vini, dicono vari esperti enologi, hanno ben poco in comune fra loro, come gusto e caratteristiche organolettiche. Zagabria protesta, Roma e Venezia o Trieste applaudono perché esattamente questa era la loro richiesta. E così, l’approdo nella grande casa europea dopo 5-6 anni di continui negoziati, nona dopo altre otto nazioni ex comuniste, rischia subito di trasformarsi in una guerricciola condominiale. Che potrà riguardare anche il «persut», sosia del prosciutto italiano. Ci saranno forse in gioco interessi da milioni, ma pure l’orgoglio è un fattore importante per un piccolo Stato di 4,2 milioni di abitanti indipendente dal 1991, ferito vent’anni fa da un’atroce guerra balcanica, indebolito dalla recessione, gravato da una disoccupazione al 20%, e tuttavia pronto a stare a testa alta fra i suoi 27 condomini.

Domani il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, e quello del Consiglio Ue Herman Van Rompuy, si recheranno a Zagabria per partecipare ai festeggiamenti di domenica notte. Ci saranno anche molti altri leader, praticamente tutti quelli del continente. Ma non Angela Merkel, sostituita invece da un sottosegretario agli Affari esteri, e questa sì non è una notizia marginale. La cancelliera tedesca ha fatto sapere di avere «impegni concomitanti», ecco la giustificazione formale. Ma il governo di Zagabria l’aveva invitata da mesi: è lei il capo del Paese più potente d’Europa, soprattutto di quello che più ha aiutato la Croazia nel suo cammino verso Occidente, ancora ai tempi del marco. Dunque, uno schiaffo teutonico o quasi. Ma non c’è da evocare troppi misteri diplomatici, tutti dicono che la ragione dell’incidente si chiami Josip Perkovic: agente segreto dell’ex Jugoslavia di cui Berlino ha chiesto invano l’estradizione perché accusato di aver ucciso nel 1983, in territorio tedesco, un esule jugoslavo.

Zagabria ha sempre respinto o ignorato le richieste di Berlino, ma da lunedì sarà sottoposta ai vincoli del mandato di arresto europeo e dovrà decidere una volta per tutte. Nel frattempo, la polizia tedesca ha posto una taglia da 12 mila euro sulla testa del ricercato. Dal momento in cui nelle due capitali sventolerà la stessa bandiera azzurra della Ue, probabilmente la tensione calerà. Ma il «forfait» della cancelliera è comunque un segno di quanto sia delicata e complessa l’adesione a una comunità che ha fra i suoi confini 500 milioni di abitanti, e decine di culture diverse.

La «guerra del vino» è ora la prima prova del fuoco. Da settimane, in molte cantine della Croazia, si riscoprono venerande bottiglie con etichette dell’Ottocento per dimostrare l’antichità, la «primogenitura» del prosek rispetto al prosecco italiano. E la tradizione orale non lascia dubbi: secondo i suoi appassionati il prosek non è solo una buona bevanda, perché fa parte a buon diritto del costume nazionale. Non per nulla, quando nasce un bambino, suo padre conserva in cantina il prosek di quell’annata, per riaprirla nel giorno in cui il figlio si sposerà.

Ma il prosecco, si ribatte da oltre confine, vanta radici altrettanto salde, e anche una notevole forza commerciale: 350 milioni di bottiglie vendute nel mondo e 8 mila produttori al lavoro, certifica l’europarlamentare e vicesegreteria veneta della Lega Nord Mara Bizzotto. Il prodotto ha un giro d’affari di circa un miliardo di euro solo nel 2012: «E la Ue ha il dovere di tutelarci dalle imitazioni e dalle brutte copie prodotte all’estero».

Ma è guerra di turaccioli, per fortuna. Meglio questa, e stando in pace nella Ue, di quei carri armati serbi che nel 1991 si misero in marcia verso l’Adriatico.

Luigi Offeddu


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