Con 8 miliardi si elimina pure l’Imu: basta tagliare l’1% della spesa pubblica

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ROMA — Il film l’abbiamo visto così tante volte che sarebbe stucchevole ripercorrerne le scene se ogni replica non ne offrisse una diversa. La trama è semplice: quando bisogna tagliare le tasse i soldi non si trovano mai. E se si trovano è con il trucco. L’ultima volta, dicembre 2004, la sforbiciatina dell’Irpef necessaria a tamponare il calo del centrodestra venne parzialmente coperta con il rincaro di bolli e balzelli vari nella legge finanziaria. Nove anni dopo il governo dell’ex vicesegretario del Pd Enrico Letta deve affrontare lo stesso dilemma, reso ancora più complicato dalle probabili conseguenze politiche. Ecco allora che dal Pdl si replica con minacciose bordate, ventilando per bocca del vicepresidente del consiglio Angelino Alfano perfino la frana dell’esecutivo, ai ministri del Pd come Flavio Zanonato che un giorno allargano le braccia ammettendo l’impossibilità di trovare le risorse e il giorno dopo giurano che si farà di tutto per scongiurare l’aumento dell’Iva.
Ma le difficoltà che si stanno incontrando per tirare fuori 8 miliardi senza scassare i conti pubblici, e possibilmente senza giochetti tipo tagliare l’Imu e contemporaneamente certe detrazioni fiscali, devono far riflettere ben oltre le possibili ripercussioni sulla tenuta della maggioranza. Dal 2001 al 2011 la spesa pubblica è passata da 600 a 798 miliardi di euro, con un aumento secco del 33 per cento. In termini reali, considerando cioè l’inflazione, la crescita è risultata pari all’8,5 per cento: nello stesso periodo il Pil procapite a prezzi costanti, cioè la ricchezza reale prodotta da ciascuno di noi, si riduceva del 3,8 per cento. Questo per dire che se la spesa avesse seguito un andamento parallelo oggi sarebbe di 91 miliardi l’anno inferiore ai livelli attuali. Livelli, per inciso, che non assicurano certo ai cittadini servizi migliori rispetto al 2001: il che la dice lunga anche sulla qualità dell’esborso. Va pure precisato che non è colpa del debito pubblico, il cui costo è rimasto pressoché identico, intorno ai 78 miliardi di euro. Sempre in termini reali, nel 2011 pagavamo dunque per gli interessi addirittura il 22,5 per cento in meno su un debito ben più elevato.
Gli 8 miliardi necessari per Imu e Iva non sono perciò che l’1,1 per cento della spesa pubblica netta. Ed è una follia che un Paese sviluppato non riesca a muoverne una quota così irrisoria senza mettere a rischio la tenuta dei conti. Qui c’entra, di sicuro, la struttura di un bilancio pubblico assurdamente rigido, capace pure di ingoiare misteriosamente senza lasciarne traccia i “tesoretti” che spuntano periodicamente, dal dividendo della lotta all’evasione fiscale al maggior gettito dell’Imu (nel 2012 ha fatto incassare 23,7 miliardi, quasi 4 in più del previsto: proprio quelli che servirebbero a tagliare la tassa sulla prima casa). Ma c’entra pure l’incapacità di decidere che purtroppo è la peculiarità di tutti i governi. Soprattutto quando decidere significa tagliare la spesa. E siamo alla famosa spending review. Dalla quale, sinceramente, era lecito attendersi qualcosa di più proprio sulla parte “comprimibile” delle uscite pubbliche. Le forniture, per esempio: un volume di spesa pari a circa 140 miliardi l’anno sul quale, argomentano economisti come Mario Baldassarri, si potrebbero realizzare economia di decine di miliardi. Ma anche gli incentivi a fondo perduto alle imprese, una massa di denaro che Francesco Giavazzi, cui Mario Monti aveva affidato il dossier, aveva consigliato di sfrondare drasticamente: il suo piano è finito in un cassetto. Per non parlare delle spese di gestione delle amministrazioni. Basta leggere uno dei documenti della spending review, quello che riguarda le strutture della sicurezza, pubblicato tre mesi fa da Palazzo Chigi con prefazione dell’ex ministro Piero Giarda, il quale sottolinea sprechi sparsi un po’ ovunque: dal costo delle locazioni all’utilizzo inefficiente delle proprietà pubbliche, alla distribuzione irrazionale del personale. I numeri, del resto, spiegano meglio di qualunque discorso. Se la nostra pubblica amministrazione costasse in proporzione dell’intera spesa pubblica come quella tedesca, potremmo risparmiare ogni anno 45 miliardi di euro.


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