Il fuoco concentrico e le metamorfosi del centrodestra

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Così, mentre il presidente del Consiglio alzava ottimisticamente il pollice, augurandosi un esito positivo, da Roma arrivavano segnali diversi. Il capogruppo berlusconiano alla Camera, Renato Brunetta, tacciava il governo di «inadeguatezza». E sulla prima pagina del «Financial Times» campeggiava una sua dichiarazione devastante su una presunta opacità dei conti pubblici italiani.

Non ci sono rischi di crisi. E il Cavaliere è il primo a ribadirlo. L’ombra di precarietà e divisione che si proietta a intermittenza sulla maggioranza, però, è preoccupante. Il sospetto che il Pdl sia tentato di trattare l’attuale coalizione come fece col governo tecnico di Mario Monti alla fine del 2012, togliendogli la fiducia, esiste. Basta mettere in fila gli attacchi di un centrodestra «di governo e di opposizione contro Letta; ma implicitamente anche contro il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Per paradosso, oggi il meno disposto a far saltare questi equilibri sembra lo stesso Berlusconi, convinto che il dopo-Letta gli sia più ostile.

Ma le pressioni dall’interno del Pdl crescono. L’annuncio di una resurrezione di Forza Italia, il «marchio» del 1994, confermato ieri da Daniela Santanchè, prefigura un ritorno all’antico che sa di nostalgia e di tentativo di rivincita; e segna il fallimento dell’operazione Pdl. Bisognerà vedere che cosa significa non solo in termini di classe dirigente ma di linea politica. L’aggressività nei confronti di Palazzo Chigi comporta in prospettiva un pericolo concreto di destabilizzazione. L’operazione incrocia infatti l’ostilità dei non governativi nei confronti di Alfano, considerato troppo moderato per le esigenze di autodifesa del Cavaliere.

L’esaltazione di una successione dinastica va letta più come attacco al vicepremier e segretario del Pdl, che come investitura della figlia Marina nelle vesti erede politica di Berlusconi. E il martellamento su Letta affinché «batta i pugni» a Bruxelles e sfondi i parametri finanziari imposti dalle istituzioni europee, promette altri attacchi se il premier dovesse tornare dal vertice senza risultati vistosi: eventualità più che possibile, vista la crisi economica nel Vecchio Continente. «Quando ho invitato il premier a fare un braccio di ferro con la signora Merkel per correggere le storture più evidenti della politica europea e della moneta unica», assicura Berlusconi, «non intendevo sminuire il ruolo del nostro capo del governo, ma rafforzarlo».

Tesi opinabile, anche perché viene accreditata nel giorno in cui il suo partito decide di forzare la mano sulla riforma della giustizia, inserendola a forza tra le riforme costituzionali: un contraccolpo dei processi. Oltre tutto, i malumori si saldano con quelli di una parte della sinistra, incalzata dai militanti che soffrono ancora di più l’alleanza tra Pd e Berlusconi dopo l’ultima condanna del tribunale di Milano; e da un Beppe Grillo che attacca il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, perfino per il solo fatto di avere ricevuto in udienza l’altro ieri l’ex premier: un incontro organizzato per capire le intenzioni berlusconiane nei confronti di Palazzo Chigi; e per verificare se fosse vera l’irritazione del fondatore del Pdl, che si era sentito non difeso a sufficienza. Si va avanti, ma il nervosismo rischia di consumare qualunque prospettiva.


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