Il monsignore, il broker, lo 007 “Una centrale di riciclaggio attraverso i conti dello Ior”

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ROMA — Suona come una di quelle storielle facète buone per essere liquidate alla voce “mele marce”. C’erano una volta un Monsignore di Salerno, uno Spione di Martina Franca e un Broker di Pompei. Il Monsignore e il Broker ci mettono i soldi, 20 milioni di euro da far rientrare in Italia dalla Svizzera nell’estate del 2012 per conto di una ricca famiglia di armatori. Mentre la barba finta — lo dice al telefono — «ci mette il culo », perché «se mi beccano a fare lo spallone mi arrestano». Le cose vanno male e i tre compari ci lasciano le penne.
Al contrario, la faccenda è assai seria. E non solo perché all’alba di ieri, accusati di corruzione, finiscono in carcere monsignor Nunzio Scarano, contabile fino a un mese fa dell’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), Giovanni Zito, già sottufficiale dell’Arma e agente dell’Aisi (la nostra intelligence interna) in servizio alla Farnesina, e Giovanni Carenzo, il mediatore con precedenti per truffa in quel delle Isole Canarie e dalle frequentazioni con la nobiltà spagnola. Ma perché un anno di indagini del Procuratore aggiunto Nello Rossi e dei sostituti Stefano Pesci e Stefano Fava afferrano l’ennesimo bandolo di una matassa che porta dritto al cuore dello Ior, la banca Vaticana. Ai suoi vertici, già da tempo nella tormenta.
Il denaro e il mattone
Già, monsignor Scarano non è un prelato qualunque. L’uomo ha una vocazione tardiva (viene ordinato sacerdote a 32 anni), che lo folgora dopo una breve carriera da bancario (lavora alla Banca d’America e d’Italia fino al 1983) e quando la vita lo ha già esposto alle sue tentazioni. Il denaro, gli immobili, il richiamo della carne, l’arte della menzogna. Che si porta dietro quando indossa l’abito talare e che finiscono per perderlo. Se ne rendono conto per primi i carabinieri di Salerno che ne visitano l’appartamento dopo una denuncia di furto di opere d’arte che risulterà farlocca. Ma che apre ai militari le porte della sua camera da letto. Rivelando una inclinazione privatissima che in fondo nulla rileverebbe se non fosse per il peso che quel termine — “lobby gay” — ha assunto nel nuovo pontificato di Papa Francesco e se non si intrecciasse con l’ossessione che domina il Monsignore. Il denaro, “lo sterco di Satana”. Per il quale finisce sotto inchiesta a Salerno (riciclaggio) e a Roma (corruzione). Accade infatti che su delega dei pm romani che lavorano da un anno e mezzo sullo Ior, il Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza abbia cominciato ad ascoltare quel prelato finito per caso sotto la lente di Salerno. E che quello che i militari ascoltino faccia drizzare le antenne.
“Telefono al direttore”
Il Monsignore lavora su un numero consistente di conti correnti bancari. Alcuni accesi su istituti di credito italiani, altri direttamente allo Ior. Li movimenta con la confidenza di un pianista con la tastiera del suo pianoforte. Soprattutto perché — documentano le intercettazioni — ha rapporti diretti e di grande confidenza con il vicedirettore generale dello Ior Massimo Tulli, che chiama direttamente sul cellulare e con cui discute delle sue diverse posizioni bancarie. Come con il direttore generale dell’Istituto, Paolo Cipriani, l’uomo che non solo ha accesso all’archivio segreto che custodisce le identità dei correntisti Ior, ma la cui firma autorizza le operazioni più delicate. Si vanta
della «loro copertura» e del resto, non ne fa mistero al telefono con il broker Giovanni Carenzio: «Hai fatto quella telefonata? E mi vuoi avvisare per cortesia, che devo telefonare al direttore dello Ior, e che cazzo?».
«Scarano — scrive il gip Barbara Callari nell’ordinanza che ne ha disposto l’arresto — descrive ai suoi interlocutori lo Ior come l’unico strumento sicuro e rapido per effettuare operazioni finanziarie e bancarie in elusione, quando non in violazione della normativa antiriciclaggio e fiscale ». Come il 17 maggio 2012, quando, ancora con il broker che gli sollecita un bonifico, dice: «I soldi te li faccio partire dal Vaticano, perché è l’unico modo celere che ho, eh».
Il tesoro di Scarano

Le sue competenze finanziarie, il rapporto diretto con i vertici dello Ior, il numero di conti correnti su cui è in grado di operare, «consentono al Monsignore — dice il Procuratore aggiunto Nello Rossi — di operare come privatissima e illecita filiale off-shore» al servizio dei propri e degli altrui appetiti. Il Sistema Ior consente infatti a Scarano di dissimulare sia la provenienza che la destinazione delle somme in contanti che, formalmente, raccoglie a destra e a manca a titolo di “donazioni”. Il suo, insomma, è un “format” (già documentato, per altro, nelle indagini che dal 2010 in avanti hanno visto altri prelati come Evaldo Biasini, detto “don bancomat”, o Salvatore Palumbo rimanere impigliati nell’inchiesta sul riciclaggio dello Ior).
Accade così che il Monsignore accumuli un importante patrimonio immobiliare utilizzando somme (1 milione e 155 mila euro) incongrue per i suoi redditi. Un box auto a Salerno (60 mila euro in assegni circolari tratti dal conto Ior presso Unicredit). Due immobili sempre a Salerno (880 mila euro in assegni circolari tratti su un conto Ior acceso presso la Banca del Fucino). E che uno dei suoi conti correnti presso la filiale Unicredit di via della Conciliazione, a Roma (su cui fa per altro affluire un bonifico di 50 mila euro da un conto Ior acceso presso la filiale di Francoforte della Deutsche Bank), presenti un saldo attivo nel settembre 2011 di 455 mila euro. E ancora: che acquisisca partecipazioni in società immobiliari come la “Prima Luce srl” cui vengono intestati due mutui da 600 mila euro ciascuno (uno acceso con Unicredit, l’altro con il Monte dei Paschi) per l’acquisto di un immobile a Paestum. E che uno dei due mutui (quello con Unicredit) venga estinto con modalità tali che documentano una scientifica attività di autoriciclaggio. Scarano versa infatti 61 assegni circolari con importi che oscillano tra i 2 e i 20 mila euro tratti su 17 banche italiane da una cerchia di prestanome, per lo più parenti e conoscenti, che quegli assegni circolari hanno cambiato con contante che lo stesso Scarano gli ha messo a disposizione.
Gli armatori, e “i volumi” dalla Svizzera E’ in questo contesto che fiorisce l’operazione di rientro dei 20 milioni di euro dalla Svizzera. Quel denaro, che, all’inizio deve essere addirittura il doppio, e cui viene fatto riferimento al telefono come «i volumi della Treccani», è dei fratelli D’Amico. Cesare e Paolo, facoltosi armatori che, mensilmente bonificano 20 mila euro al Monsignore che, di fatto, è il loro strumento per eludere il fisco italiano. Scarano carica a bordo lo 007 e il broker. Una variopinta combriccola in cui ciascuno diffida dell’altro e soprattutto punta a fregarlo. Risultato: i soldi non rientrano dalla Svizzera. Lo 007 si fa corrompere dal Monsignore con 400 mila euro per il disturbo del viaggio a vuoto (affitta un aereo privato che vola da Padova a Locarno). E il Monsignore, dopo averlo liquidato, lo calunnia denunciando la scomparsa del libretto di assegni con cui lo ha saldato. Fanno tre arresti e due indagati: i fratelli D’Amico, per infedele dichiarazione fiscale.


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