Il movimento travolto da 12 anni di processi
La sentenza della Cassazione sulle torture di Bolzaneto è l’atto conclusivo dell’ultimo processo sul G8 di Genova. Dodici anni sono passati nei tribunali in cerca di giustizia e verità che sono state negate. Adesso è tempo di alzare la testa dal codice penale e di fare un bilancio. Ecco la domanda che fa più male: dov’è finito il movimento? Perché era forte quando il capitalismo finanziario era vincente, ed è evaporato mentre che c’è la crisi? Perché non c’è più adesso che ce ne sarebbe tanto bisogno, e proprio quando la storia ha dimostrato che chi allora manifestava aveva ragione?
Laura a Genova aveva vent’anni. La sua generazione ci aveva creduto. Poi è stata travolta dalla rabbia, dalla delusione, e dalla sconfitta. Eppure paga più di tutti la crisi del sistema che criticava. «Abbiamo passato tutto questo tempo a occuparci dei processi, e intanto ci siamo dimenticati di quello cose che dicevamo a Genova. Il movimento è stato ridotto a una macchina a sostengo delle battaglie legali, forse è stato un errore, forse non si poteva non farlo. Adesso però è finita ed è quasi una liberazione».
Anche Vittorio Agnoletto c’era. E c’è anche oggi a sentire la sentenza della Cassazione: «Intanto sono state confermate tutte le condanne dell’appello, anche quelle cadute in prescrizione: non è cancellato il reato, ma solo la pena. E questo purtroppo è il risultato di leggi fatte ad hoc che però non cambiano la verità storica: a Genova, c’è stata la tortura. Polizia, carabinieri, guardia di finanza e amministrazione penitenziaria erano coinvolte». Agnoletto ci tiene a segnalare l’assenza dei politici e delle istituzioni. Nessuno era presente alla lettura della sentenza. «È la stessa assenza della politica che spiega perché in Italia non c’è il reato di tortura». Ma ammette: «Anche una parte di quel largo mondo associativo che a Genova c’era adesso è assente. È come se fosse stato terrorizzato. Genova è diventata un tabù anche per loro». E il resto del movimento? «È vero, quello che è successo ci ha obbligati a occuparci dei processi, della democrazia, degli spazi di agibilità politica e della repressione: in questo senso a Genova con la violenza sono riusciti a deviarci dai nostri temi contro il sistema economico e finanziario mondiale. E lungo questo percorso abbiamo perso la nostra forza e la nostra unità. Poi alcuni hanno creduto che il governo di centro sinistra di Prodi potesse modificare le cose. La fine anche di quell’esperienza ha lasciato ancora più divisione e rassegnazione».
Luca Casarini non ha dubbi: «La sentenza di oggi è la fine di una strategia assolutoria dello stato. Dopo tutto gli unici che pagano davvero sono 10 manifestanti condannati anche a 14 anni. Si parla tanto delle violenze della polizia, per esempio in Turchia, ma quando sono in casa nostra…». Per Casarini le istanze del movimento sopravvivono in tante lotte territoriali e per i beni comuni. «Ma certo – ammette – l’unità che avevamo allora l’abbiamo persa». Perché? «In parte la repressione ha funzionato, quei poliziotti non li condannano perché per lo stato hanno fatto il loro dovere. E poi, forse, la crisi quando morde inibisce i movimenti che invece si formano nelle fase espansive del capitalismo. Insomma anche la crisi serve il potere».
Da Genova ad oggi sembra passato un secolo: 12 anni. Come dal ’68 agli anni Ottanta. E un altro mondo sembra impossibile.
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