Khamenei, la sfinge di Teheran
Da quando ha sostituito Khomeini non ha praticamente più intrattenuto rapporti diretti con i media, così come è la regola per la massima autorità religiosa e politica sciita. Ma nel 1988 – alla vigilia della pace con l’Iran dopo 8 anni i guerra – abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo e saggiare il suo potere. Dopo un lungo controllo da parte dei militari all’aeroporto siamo finalmente accreditati per andare all’hotel, che ai tempi dello scià era loSheraton. Lì vediamo che gli unici occidentali che risiedono in una Teheran semidistrutta e ancora sottoposta al coprifuoco, continua a essere sotto le incursioni aeree degli iracheni. È una nazione agli sgoccioli che ha subito forti perdite sia alla frontiera con l’Iraq sia nelle città martoriate dall’aviazione nemica. Durante i 3 giorni di visita si alternano i discorsi dell’allora presidente Ali Khamenei e del primo ministro Rafsanjani. Veniamo fermati più volte nell’auto molleggiata da parte di poliziotti, di pasdaran, dei comiteè e anche dai bassidji e anche semplici cittadini incuriositi nel vedere aggirarsi per Teheran occidentali con telecamere. Tra l’altro, ci fermano come fosse un posto di blocco un’auto in mezzo alla strada, da cui scendono 5 persone con abiti civili, e a bruciapelo dicono che sono dei corrispondenti della radio di Stato e che ci vogliono intervistare in lingua inglese. Le domande vertono sul perché siamo qua e sulle impressioni sull’Iran. Il tutto dura circa mezz’ora: tornati in hotel il portiere si complimenta per ciò che abbiamo detto nell’intervista trasmessa in diretta. Passano poche ore e riceviamo da parte del funzionario del ministero dell’Interno che ci ha accompagnato durante tutta la nostra permanenza, l’invito a recarci nell’ufficio di Ali Khamenei che ha intenzione di incontrarci assieme ad altri giornalisti del mondo arabo. Avvenuto l’incontro formale in cui vediamo Khamenei parlare da un pulpito che brandiva il sigillo Usa trafitto da 12 frecce. La sera stessa sarà la tv iraniana a intervistarci in una sorta di “Porta a porta” locale fra gli invitati. Ali Khameni è seduto a pochi metri di distanza. Può utilizzare solo la mano sinistra, in quanto, come ci ha poi detto lui stesso, ha perduto l’uso di tutto il braccio destro, dovuto a un attentato, nell’81, con una bomba nascosta in un registratore.
Parlava tramite un traduttore in modo monotono con una lenta cadenza e con uno sguardo che fissava i vicini che interloquivano con lui, e al tempo stesso manteneva una sorta di distanza. Oltre a invitarci per le future celebrazioni del decennale della rivoluzione, sia a Teheran che alla città santa di Qom, volle sapere cosa pensavano in generale gli occidentali e gli italiani in particolare della rivoluzione che aveva portato l’Iran alla repubblica islamica.
In particolare ci teneva a far capire come il regime avesse dovuto sopportare il boicottaggio perenne da parte dell’Occidente che aveva anche il suo agente Saddam in Iraq a non dare un attimo di pace alla giovane Stato iraniano. Erano i tempi dell’Irangate in cui erano implicati l’Iraq, Ronald Reagan, la Banca Nazionale del Lavoro di Cristopher Drogoul che tramite la filiale di Atlanta, faceva confluire a favore dell’Iraq ingenti capitali. Al tempo stesso risultava chiaro che i legami fra gli Hezbollah libanesi e l’Iran erano molto stretti, poiché Husain Fadlallah, “guida spirituale” del “partito di dio” libanese era parente di Khomeini.
Come lo ricordano oggi anche il nipote Mahmoud Moradkhani, medico a Lille, in Francia, e altri iraniani a Parigi, da sempre Khamenei ha evocato l’immagine di una persona estremamente limpida, diretta e autoritaria, nel suo comportamento di trascendente e discreto esercizio dell’arte del potere.
A DIFFERENZA DI KHOMEINI è meno eclatante il suo potere carismatico, che però, l’attentato da lui subito, gli ricama un ruolo di eroe e martire vivente. A luglio compirà 74 anni, e nonostante tutte le speranze e le malelingue dei nemici dell’Iran ha una buona salute e tiene strettamente sulla sua scrivania tutti i dossier importanti, come l’esercito, la polizia, i servizi segreti, la giustizia, le relazioni internazionali, la radio e la tv.
Il nuovo presidente eletto Ha-san Rohanì sarà un religioso di grande seguito popolare, falsamente interpretato in Occidente come un progressista, in realtà è un moderato che avrà la chiave del suo potere se saprà mantenere un buon rapporto con Khamenei prendendo ad esempio quanto accadde ad Ahmadinejad, presidente uscente, che da pupillo di Khamenei negli ultimi tempi si è trasformato in una persona non gradita, tra l’altro per il tentativo di accreditare persone di famiglia all’elezioni e di essersi addirittura arrogato il titolo di Mahdi ovvero l’incarnazione del XII Imam che secondo la tradizione sciita chiuderebbe il ciclo dei tempi.
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