Le mani legate sull’economia

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Dopo la fine della procedura di deficit eccessivo per l’Italia, sono in molti a dare segni di ottimismo e a suggerire che la decisione segnala la fine delle politiche di austerità e apre margini per politiche fiscali espansive. C’è chi afferma che nei prossimi anni si potrebbe utilizzare appieno l’esiguo margine che forse ci separerà dalla soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil, ad esempio per attuare politiche espansive di contrasto alla disoccupazione giovanile o per finanziare investimenti in infrastrutture o per operare una riduzione della tassazione sul lavoro.
Purtroppo i numeri dello stesso ministero dell’economia ci dicono che non è questo il caso. Per l’anno 2013 il decreto per il pagamento dei debiti pregressi della Pubblica Amministrazione ha già assorbito tutti i margini di manovra che l’Italia aveva a disposizione. Il deficit è, infatti, stimato al 2,9%, includendo anche il previsto aumento dell’aliquota Iva. In questo scenario una probabile revisione al ribasso delle stime sul Pil (già prevista dall’Ocse), riporterebbe immediatamente il deficit sopra il 3%. È evidente che una benché timida politica espansiva che crei le condizioni per una ripresa dell’economia si scontrerebbe immediatamente con il rispetto di questi vincoli. In uno scenario così rischioso l’abrogazione della procedura di deficit eccessivo sembra quasi essere stata accordata per risarcire politicamente il primo ministro uscente a fronte della richiesta di una politica di austerity forsennata.
Ma non è finita qui. Un ultimo atto del governo Berlusconi fu quello di accettare la richiesta della Banca centrale europea per il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale già dal 2013. Raggiungere questo obbiettivo richiederà più austerity di quella necessaria per rimanere semplicemente sotto il 3%, rendendo impossibile qualsiasi tipo di politica espansiva nel 2013.
Secondo, sempre nel 2011 il governo Berlusconi ha firmato di tutta corsa il cosiddetto fiscal compact. Entrato in vigore il primo gennaio 2013, pochi sembrano ricordare quanto è stato effettivamente approvato. Assieme alla recente riforma del Patto di Stabilità questi nuovi trattati hanno sensibilmente aumentato le disposizioni di politica fiscale da seguire anche quando si ha un deficit inferiore al 3 per cento.
In primis, l’Italia ha introdotto in Costituzione il vincolo permanente di un deficit corretto per il ciclo non superiore allo 0,5% del Pil. In secondo luogo, il rispetto della nuova regola per la riduzione del debito pubblico (attualmente in vigore per l’Italia in regime transitorio)) implica avanzi primari monstre per la seconda metà del decennio. I paesi con un debito superiore al 60% del Pil sono infatti tenuti a ridurlo progressivamente verso il 60% del Pil nell’arco di vent’anni. Nel caso dell’Italia, equivale ad una riduzione di più del 3% di Pil all’anno, per vent’anni. A differenza del precedente trattato, non osservare la regola sul debito comporta il rientro in procedura per deficit eccessivo (anche se il deficit è ben al di sotto il 3%) e, quindi, possibili sanzioni.
Terzo, e per concludere, un punto tecnico. Attualmente oltre alle politiche di austerity, il forte peggioramento del ciclo economico ha reso possibile rispettare, a grandi linee, le ferree disposizioni europee in termine di aggiustamento strutturale. Quest’ultimo tiene conto del ciclo economico, ovvero abbuona ai fini del computo dell’aggiustamento strutturale una stima delle mancate entrate fiscali e maggiori spese sociali causate dal temporaneo aumento della disoccupazione e della capacità produttiva non utilizzata dalle imprese. Data la metodologia usata per calcolare il ciclo, questo aumento della disoccupazione/inattività verrà presto considerato strutturale (permanente) andando ad abbassare la già bassa crescita potenziale stimata per l’Italia.
Il paradosso dell’architettura fiscale europea, in sostanza, implica che un relativo miglioramento del ciclo economico dopo una lunga crisi rende di fatto più difficile il raggiungimento dei saldi di bilancio in termini strutturali. Vi è dunque il rischio che, se e quando ci sarà un accenno alla ripresa, questa sarà stroncata da una falsata approssimazione del ciclo creando una spirale recessiva. In questo contesto, posticipare la scadenza per la riduzione del deficit avrebbe potuto dare ai governi Monti e Letta margini di manovra in due sensi. Primo, avrebbe consentito di rallentare la caduta della domanda interna nel 2012-13. Secondo, avrebbe dato un chiaro segnale riguardo l’inevitabile ridefinizione delle regole del gioco a livello europeo. Tuttavia, se non si mettono in discussione le fondamenta della politica economica europea, a poco serviranno nuove regole fiscali per tempi di boom. Quello che manca sono regole fiscali europee per i tempi di crisi, per far fronte alla cosiddetta trappola della liquidità. Ne abbiamo proposte alcune in due precedenti articoli per sbilanciamoci.info, sulla politica monetaria (qui) e per un Europa più forte e equa (qui).
Non c’è dunque nulla di cui rallegrarsi? A giudicare dalle dichiarazioni di esultanza dei politici nazionali e di tutta Europa, no. Siamo di fronte alla più grave crisi economica dal dopoguerra a oggi. È una crisi della finanza deregolamentata a livello globale, di una mal concepita unione monetaria a livello europeo e della politica e delle istituzioni a livello nazionale. Ognuna richiede interventi su piani e paradigmi diversi. Sul piano macroeconomico e occupazionale, la risposta alla crisi adesso non può che passare attraverso soluzioni europee e una politica economica espansiva. L’illusione di uscire dalla crisi con più austerity ha aggravato ulteriormente la recessione e fatto salire la disaffezione nei confronti dell’Europa, persino in un paese storicamente europeista come l’Italia. Reazioni trionfali a seguito dell’annuncio dell’abrogazione della procedura per deficit eccessivo non possono che lasciare l’osservatore attento sconcertato. Di fronte alle sfide che abbiamo davanti e alle regole che come Unione europea ci siamo dati, quali vantaggi potrà mai portare il raggiungimento a grandissimo costo economico e sociale di un deficit del 2.9% del Pil nel 2012?
* Nella mitologia greca Agenore è il padre di Europa. Agenor è un esperto di questioni europee che vive a Bruxelles (www.sbilanciamoci.info)


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