Nostalgia democristiana

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Perché appare contraddittorio e, comunque, contro-intuitivo. Però esiste, come sottolineano i sondaggi. Per prima, la rilevazione dell’Osservatorio di Demos-Coop, che risale a una settimana fa. L’alleanza fra centrodestra e centrosinistra: non piace. Meno di un elettore su tre le attribuisce un voto positivo (pari o superiore a 6). Anche e soprattutto nella base del Pd e di sinistra. Mentre è accettata nel centrodestra. Ma in particolare nel Pdl (57%). Eppure questo “governo” dispone di un consenso molto “largo”. È, infatti, apprezzato da quasi il 60% degli elettori. Che sale a oltre il 70% fra quelli del Pdl. Ma anche fra gli elettori del Pd. Peraltro, Enrico Letta, personalmente, dispone di un sostegno ancor più ampio. L’azione del presidente del Consiglio, infatti, è valutata positivamente (con un voto pari o superiore a 6) da quasi i due terzi degli elettori (secondo i più recenti sondaggi di Ipsos). Si tratta, in questo caso, di un consenso trasversale. Da centrodestra a centrosinistra, passando per il centro. Con “l’astensione” delle opposizioni.
Pare di assistere a un remake del film sul “governo tecnico”, interpretato da Mario Monti, l’anno scorso. Diretto dal medesimo regista: Giorgio Napolitano. Il quale, in effetti, aveva pensato a una riedizione, affidata allo stesso Monti. Se il Professore non si fosse messo in testa di girare il film da solo. Regista e protagonista, insieme. Con il risultato di venire declassato, immediatamente, al ruolo di comprimario, se non di comparsa. Tuttavia, il governo tecnico e Mario Monti ottennero, per molti mesi, un sostegno elevatissimo. Naturalmente, le differenze, rispetto ad allora, sono profonde. In primo luogo, quello attuale è un governo “politico”, guidato da un leader “politico”, con una squadra di ministri di cui fanno parte molti “politici”. Inoltre: questo governo è stato istituito non alla fine, ma all’inizio della legislatura. Due mesi dopo il voto e dopo due mesi di tentativi, inutili, di costruire una maggioranza politica diversa. Così non sorprende il limitato consenso alle “larghe intese”. Soprattutto fra gli elettori del Pd. Che avevano partecipato a una campagna elettorale “contro” il Pdl e Berlusconi. Convinti di (stra) vincere. E, invece, si ritrovano ancora “alleati” con il Pdl. Berlusconi, invece, aveva condotto la sua campagna elettorale soprattutto “contro Monti”. Per far dimenticare agli italiani di aver governato dal 2001, quasi ininterrottamente. Per fingere che lui e il Pdl, con il Governo tecnico, non c’entravano. Anzi erano l’opposizione. La vittoria mancata del Pd ha permesso a Berlusconi di rientrare in gioco. Nonostante che alle elezioni politiche il Pdl avesse perso quasi metà dei voti, rispetto al 2008. Per questo, le larghe intese, a Berlusconi, piacciono. Lo ha ribadito anche ieri. Perché gli permettono di contare ancora. Tanto più ora, dopo il disastro delle elezioni amministrative, che evocano la scomparsa del centrodestra sul territorio.
Ma il governo (delle larghe intese) e Letta (Enrico) piacciono di più. Anche — e soprattutto – agli elettori del PD. Per alcune ragioni, che vanno oltre la prima e più banale: Letta è del Pd.
1. Anzitutto, perché, da oltre tre anni, viviamo in uno Stato di Emergenza. Che giustifica anche le scelte “contro-natura” (almeno, sul piano politico). I Governi Tecnici e quelli Politici, sostenuti da (quasi) tutti. Amici e Nemici. Alleati e avversari. Perché lo richiedono la Crisi globale, la UE, le Autorità monetarie internazionali… 2. In secondo luogo, Enrico Letta marca una discontinuità, rispetto ai premier precedenti. Dal punto di vista generazionale. È giovane. E, non a caso, ha posto in testa alla sua agenda di governo la questione del lavoro dei “giovani”. Per sottolineare la distanza dal passato. Anche e soprattutto, ripeto, dal punto di vista “generazionale”.
3. Peraltro, dal punto di vista “programmatico”, ha risposto alla prima “emergenza” espressa dai cittadini. I costi della politica. Attraverso l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Discussa e discutibile, sul piano dell’attuazione. (Io, personalmente, non la condivido, invece, per motivi sostanziali). Ma, dal punto di vista della comunicazione, ha funzionato.
4. La comunicazione, appunto. Questo governo e questo premier riescono a gestirla con efficacia.
Si pensi alle misure annunciate per la crescita.
Riassunte in un unico testo dal nome suggestivo. Quasi un manifesto: Decreto del “Fare”.
Tuttavia, io penso che vi sia dell’altro, dietro a un consenso così elevato per un governo e un premier a capo di una maggioranza che non piace. La definirei: “nostalgia democristiana”. Che attraversa la storia della Repubblica, fin dalle origini. La stagione della Democrazia Cristiana, durata quasi cinquant’anni, ha impresso un marchio indelebile nella memoria degli italiani. Anche dei più giovani. “Quelli che” sono nati e cresciuti “dopo”. Quando Dc e Pci non esistevano più. Perché la storia della Prima Repubblica è stata scritta, insieme, dalla Dc e dal Pci. Democristiani e comunisti: alternativi e complementari. Governo e opposizione. Senza alternanza possibile. Alleati, nelle grandi “emergenze” – come negli anni Settanta, durante la stagione del terrorismo. Ma, comunque, (com) partecipi di un sistema “consociativo”, dove tutte le grandi scelte erano condivise. Come le nomine degli enti e delle istituzioni. A ogni livello e in ogni ambito.
Il governo guidato da Letta piace a gran parte degli italiani perché rinnova questa memoria. Non solo perché Enrico Letta ha una biografia democristiana – e “popolare”. E propone, comunque, uno stile politico e di comunicazione che evoca quella tradizione. Ma perché questa strana maggioranza costituisce un rimedio al “disagio bipolare”. Assai diffuso nella Seconda Repubblica – fondata su Berlusconi e, appunto, sul bipolarismo. A cui gli italiani non si sono mai rassegnati fino in fondo. Perché non amano vincere. Ma neppure perdere. Governare da soli. Oppure fare opposizione. Vera. Così le larghe intese non piacciono. Ma il governo di larghe intese sì. Perché permette a tutti – destra, sinistra e centro, berlusconiani e antiberlusconiani – di governare insieme, ma senza sentirsi coinvolti. Provvisoriamente. Fino alle prossime elezioni. Quando in molti sperano che nessuno vinca. Come in questa occasione. Per poter governare ancora (quasi) tutti insieme. Ma senza ammetterlo. Perché l’Italia, in fondo, è uno Stato di Necessità.
Perenne. 


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