PRIVACY O SICUREZZA LA SCELTA DI BARACK

by Sergio Segio | 8 Giugno 2013 10:47

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La scoperta che anche il Presidente insediato cinque anni or sono nel segno del cambiamento ha continuato a usare il greve martello delle intercettazioni e dei controlli telefonici nel nome della «sicurezza nazionale» ha sconvolto il New York Times, l’Unione dei difensori delle libertà costituzionali Aclu, il Washington Post, i pochi parlamentari liberal e molti dei suoi fan oltre oceano.
Non siamo certamente tornati agli anni nei quali Richard Nixon usava la Cia e l’agenzia delle tasse, l’Irs, per cercare di intimidire e tacitare i propri avversari in politica e nei media compresi nella «black list». Ed è stato lo stesso Obama, sotto l’attacco dei giornalisti, a cercare ieri di giustificarsi: “Non si può avere il 100 per cento di privacy e il 100 per cento di sicurezza”. Ma la rivelazione della massiccia mietitura di numeri telefonici e di tabulati fatta attraverso le società di telefonia sembra contraddire sfacciatamente l’immagine di un uomo che era profeta di un nuovo modo di governare. E che è addirittura un professore costituzionalista e dunque dovrebbe conoscere bene il divieto contro le «irragionevoli » violazioni della privacy. Invece l’amministrazione Obama, della quale sono parte e braccia agenzie come la onnisciente National Security Agency, il grande orecchio che tutto ascolta e ovunque origlia, ha continuato nel solco scavato dopo l’11 settembre dal «Patriot Act», quella legge varata da George Bush e approvata nel panico, che ha ampliato a dismisura i poteri discrezionali del governo. Il New York Times, che pure di Obama è sempre stato un supporter, aveva proclamato la «perdita di credibilità» del Presidente, forse la sentenza politica e morale più grave fuori dalle questioni giudiziaria, prima di moderare la mazzata, aggiungendo «in questa materia», cioè su questioni di controlli sui cittadini.
Ma la delusione, pur amarissima, è figlia di un equivoco e dunque di un’illusione. Senza un’abrogazione del «Patriot Act», della legge che sotto l’etichetta retorica del patriottismo (l’ultimo rifugio del mascalzoni, come ammoniva Samuel Johnson) e dei successivi inasprimenti introdotti nel 2005, sono rimasti nelle mani del potere esecutivo e delle sue braccia, poteri immensi e di fatto incontrollati di controllo, di sorveglianza, di intrusione.
Già il procuratore di New York Elliot Spitzer aveva avvertito che tutto quello che noi facciamo in Rete può essere, e sarà, «letto» dal Grande Fratello. Avvertimento che lui stesso ignorò organizzando incontri con escort attraverso sms ed email.
La colpa di Obama, che oggi turba il progressismo americano deluso, è quella di essere caduto nella tentazione alla quale nessun governo sa resistere, ed è quella di usare gli attrezzi che ha a disposizione. La legge consente mietiture di tabulati telefonici con la semplice autorizzazione di un tribunale «con il timbro di gomma», come si dice degli organismi senza autonomia o autorità, chiamato Fisa, che vidima nel 99 per cento dei casi le richieste del governo.
Mentre, per accrescere il discredito e il sarcasmo acre, la Casa Bianca spiega di avere soltanto raccolto numeri, e non nomi. Come se fosse un gran problema risalire, per le compagnie telefoniche e la Nsa, dal numero al nome.
Non dovendo più affrontare elezioni, Barack Obama può anche guardare con distacco a questo tornado contro la propria credibilità scatenato in una base democratica già molto perplessa. Alle parlamentari di mezzo mandato manca ancora un anno e mezzo, dunque anche il danno per il Partito Democratico potrà essere contenuto. E sarebbe comunque difficile per i Repubblicani, sostenitori accaniti delle leggi draconiane post 9/11 rimproverare a lui di avere fatto quello che George Bush fece puntualmente per quasi otto anni.
La vera delusione è la scoperta che personalità politiche diverse tendono a comportarsi allo stesso modo se messi nelle stesse circostanze. Che il «noi siamo diversi » mostra ben poca diversità quando il potere si trova ad affrontare problemi identici. Obama non ha lanciato invasioni, ma ha utilizzato i «droni», gli aerei senza pilota con un trasporto e un’abbondanza senza precedenti: li ha, dunque li adopera. Ha sfruttato le enormi smagliature costituzionali aperte dalle leggi sfornate nell’angoscia del 9/11, come ha fatto il predecessore. Ha permesso che il fisco, l’Irs, andasse a frugare nello «status erariale» di avversari politici per scoprire se si fingessero «no profit» per godere di esenzioni ingiuste.
«Il primo dovere di un Presidente americano» aveva detto e ripetuto più volte Obama è quello di proteggere e garantire la sicurezza dei proprio cittadini e la parola «sicurezza» è il toboga sul quale molti, se non tutti, scivolano. Nella impossibilità di usare le forbicine per asportare le piante di gramigna che si nascondono nella prateria nazionale, le autorità impugnano le falci che il Parlamento ha messo nelle loro mani e cercano di mietere fascine. Barack Obama, autorizzando o fingendo di non vedere quello che la Nsa con l’operazione «Prisma» (erede della altrettanto famigerata «Echelon») faceva per combattere il rischio del terrorismo, non ha fatto nulla di straordinario.
E per questo ha rinunciato alla propria aureola di eccezionalità.

 

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