Quei 267 mila elettori rimasti a casa

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Come era prevedibile, in occasione del secondo turno delle Amministrative, l’affluenza alle urne si è ulteriormente erosa. Era in parte scontato, poiché da sempre la partecipazione al voto diminuisce nella seconda tornata elettorale. Anzi, diversi commentatori avevano ipotizzato un calo addirittura superiore a quello che si è effettivamente verificato: mediamente, infatti, negli undici comuni capoluogo interessati alla consultazione, non si è recato alle urne un ulteriore 9% degli aventi diritto al voto, pari a circa 267 mila elettori. Ciò significa che il 16% di quanti hanno votato al primo turno hanno scelto, questa volta, di astenersi. Con differenze assai significative, però, nei diversi comuni. A Barletta, ad esempio, (forse perché era data per certa la vittoria del candidato di centrosinistra Cascella, già portavoce del presidente Napolitano) si è astenuto quasi il 26% in più. Viceversa, a Treviso (ove erano in discussione le sorti della Lega, conclusesi con la sconfitta dell’ex sindaco Gentilini) non si è recato alle urne «solo» un ulteriore 4,7%. A Roma, la città più importante in cui si è votato, il calo aggiuntivo si situa poco sotto l’8%: quasi 190 mila elettori in meno.
Insomma, malgrado si tratti, anche in questo caso, di significative defezioni, il vero crollo della partecipazione si era già registrato al primo turno, con un calo di votanti (nei comuni capoluogo) superiore al 20%. Un fenomeno dovuto soprattutto al record di astensioni registrato a Roma.
Resta il fatto che mediamente, nei principali centri interessati al voto la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto ha preferito restare a casa. Ha partecipato a questo secondo turno il 46,7%. Ma in alcuni grandi comuni l’affluenza alle urne è stata ancora inferiore: ad Ancona essa si avvicina al 40%, mentre a Roma è pari al 45,1%.
Come ha correttamente segnalato Roberto D’Alimonte nell’intervista sul Corriere di ieri, un calo nella partecipazione e/o il fatto che addirittura la maggioranza degli elettori non si rechi a votare non mina l’esito delle consultazioni, né tantomeno costituisce una lesione alla democrazia.
L’erosione dell’afflusso alle urne continua (come ha efficacemente sottolineato Pierluigi Battista, anch’egli sul Corriere di ieri) a rappresentare però, specie nel nostro Paese e nelle attuali circostanze politiche, un segnale di disaffezione, non tanto dalla politica in sé, quanto dall’offerta rappresentata dai partiti. Ritenuta, a torto o a ragione, spesso lontana dalle effettive esigenze dei cittadini.


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